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L’INVIOLABILITÀ DELLE CONVERSAZIONI E DELLE COMUNICAZIONI DIFENSIVE
In merito, il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni è
posto a garanzia del mandato difensivo e, pertanto, opera anche nel caso in cui
l’attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello a cui le intercet-
tazioni atterrebbero . Riguardo all’incarico: lo svolgimento dell’attività difen-
(80)
siva non deve risultare necessariamente da uno specifico mandato, conferito
secondo modalità previste dall’art. 96 c.p.p., potendo desumersi l’esistenza di un
mandato fiduciario anche dalla natura stessa dell’incarico ; ancora, l’inutilizza-
(81)
bilità delle intercettazioni con il proprio difensore sussiste quand’anche l’inda-
gato non abbia ancora comunicato all’autorità procedente la nomina del difen-
sore ai sensi dell’art. 96 c.p.p. ; inoltre, le garanzie previste dall’art. 103 c.p.p.,
(82)
si riferiscono, allo stesso modo, al difensore di fiducia e a quello di ufficio .
(83)
Tuttavia, un’attenta analisi giurisprudenziale della norma, intervenuta più
volte sul tema, ha consentito di individuare una serie di limiti del divieto in que-
stione, andando a definire alcuni principi ormai consolidatisi nel tempo, che
interessano l’ambito di operatività, i soggetti per i quali opera e le modalità con
cui opera.
Riguardo all’ambito di operatività rileva che, il divieto di intercettazioni di
conversazioni o comunicazioni non si riferisce, senza alcun discrimine, al com-
plesso di conversazioni effettuate di chi rivesta la qualità di difensore, ma solo
alle conversazioni, che attengono alla funzione esercitata, in quanto la ratio della
regola posta dall’art. 103 c.p.p., va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa .
(84)
Da tale lettura, deriva che la prescrizione della norma in esame, non si traduce,
in definitiva, in un divieto assoluto di conoscenza ex ante, come se il legale
godesse di un ambito di immunità assoluta o di un privilegio di categoria,
(80) Cfr, Cass. pen., Sez. Unite, ent. 12 novembre 1993, n. 25, (rv. 195627), GROLLINO, in CED
Cassazione, 1993. Sentenza chiamata a risolvere un contrasto giurisprudenziale emerso dopo
l’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale; tale pronuncia ha quindi definito
un solido principio cui si è conformata in seguito tutta la giurisprudenza.
(81) Cfr, Cass. pen., Sez. Sesta, Sent. 16 dicembre 2002, n. 10664, (rv. 223965), in CED Cassazione,
2002.
(82) Cfr. Cass. Pen., Sez Quinta, Sent. 18 febbraio 2003, n. 12944, (rv. 224251), in CED
Cassazione, 2003.
(83) Cfr. Cass. Pen., Sent. 10 dicembre 2014, n. 1779, (rv. 262000), in CED Cassazione, 2015.
(84) Cass. Pen., Sez. Unite, Sent. 12 novembre 1993, n. 25, (rv 195627), GROLLINO, cit. Sul tema
cfr. Cass. Pen., Sez. Quarta, Sent. 5 dicembre 2016, n. 55253, (rv. 268618), in CED Cassazione,
2016; Cass. Pen., Sez. Terza, 24 settembre 2015, n. 45637; Cass. Pen., Sez. Quinta, Sent. 25
settembre 2014, n. 42854, (rv. 261081), in CED Cassazione, 2014; Cass. Pen., Sez. Sesta, 16
dicembre 2002, n. 10664; Cass. Pen., Sez. Sesta, 4 luglio 2006, n. 34065, (rv. 234865), in CED
Cassazione, 2006; Cass. Pen., Sez. Sesta, 4 maggio 2005, n. 36600, (rv. 232266), in CED
Cassazione, 2005; Cass. Pen., Sez. Quinta, 12 febbraio 2003, n. 20072, (rv. 224944), in CED
Cassazione, 2003; Cass. Pen., Sez. Sesta, 16 dicembre 2002, n. 10664; Cass. Pen., Sez. Sesta, 2
novembre 1998, n. 1472, in Cass. Pen., 2000, 663.
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