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L’INVIOLABILITÀ DELLE CONVERSAZIONI E DELLE COMUNICAZIONI DIFENSIVE




                     La ratio della regola posta dall’art. 103 c.p.p., va rinvenuta nella tutela di un
               diritto strettamente attinente alla legittima strategia difensiva, per cui, innanzi ad
               una fattispecie relativa all’intercettazione di un colloquio tra l’indagato ed un
               avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, la Corte, per la valutazione
               di utilizzabilità, ritiene necessario che il giudice di merito non possa non tener
               conto di tali circostanze:
                     a)  se  quanto  detto  dall’indagato  fosse  finalizzato  ad  ottenere  consigli
               difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta
               all’amico;
                     b) se quanto detto dall’avvocato avesse natura professionale oppure con-
               solatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute .
                                                                    (66)
                     Il principio, ormai divenuto assioma, in base al quale, il limite che ha ad
               oggetto le sole conversazioni o comunicazioni relative agli affari nei quali i legali
               esercitano la loro attività difensiva, non si estende, quindi, alle conversazioni
               che integrino esse stesse reato, è continuamente ribadito dalla giurisprudenza di
               legittimità anche nel 2015, che nella specie, ha ritenuto immune da censure una
               decisione del giudice di merito, che aveva reputato esulanti dal mandato difen-
               sivo, e idonei a provare l’intraneità del ricorrente ad una associazione di tipo
               mafioso, i suggerimenti forniti al cliente circa le modalità per eludere le indagini
               mediante ricorso ad un passaporto falso onde rendersi latitante . Al riguardo,
                                                                             (67)
               si ribadisce, che il divieto di utilizzazione stabilito in materia di intercettazioni
               dall’art. 271, comma 2, c.p.p., non sussiste, anche quando le conversazioni o le
               comunicazioni intercettate non siano pertinenti all’attività professionale svolta
               dalle persone indicate nell’art. 200, comma 1, c.p.p., e non riguardino di conse-
               guenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata. Ne
               discende che il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazio-
               ni dei difensori non riguarda sommariamente tutte le conversazioni, ma soltan-
               to quelle con cagione rinvenuta nella tutela del diritto di difesa il cui esercizio
               deve essere, pertanto, la causa della conoscenza del fatto, per cui all’esito di tale
               indispensabile vaglio deliberativo, i giudici di merito, nell’ipotesi in cui ritengano
               fondata l’eccezione difensiva, dovranno effettuare la “prova di resistenza” al
               fine di verificare la perdurante gravità del quadro indiziario, pur con l’esclusione
               degli elementi recati da un atto ritenuto eventualmente non utilizzabile .
                                                                                    (68)
                     La verifica postuma ex art. 103, comma 5, c.p.p., non può prescindere
               dall’esercizio delle funzioni dell’ufficio di difensore ed in applicazione di tale

               (66)  Cass. pen., Sez. Seconda, Sent. 29 maggio 2014, n. 26323, (rv. 259585), in CED Cassazione, 2014.
               (67)  Cass. pen., Sez. Seconda, Sent. 6 ottobre 2015, n. 43410, (rv. 265096), in CED Cassazione, 2015.
               (68)  Cass. Pen., Sez. Sesta, Sent., 17 marzo 2015, n. 18638, in CED Cassazione, 2015.

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