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L’INVIOLABILITÀ DELLE CONVERSAZIONI E DELLE COMUNICAZIONI DIFENSIVE




               personale ; quest’ultimo aspetto è stato ben ribadito da una pronuncia della
                         (57)
               Sesta Sezione Penale della Cassazione, nel giugno del 2003, evidenziando che i
               colloqui in cui il difensore fornisca all’assistito notizie utili per sottrarsi alle ricer-
               che dell’autorità o a eluderne le investigazioni, costituiscono attività criminosa e
               fuoriescono dall’esercizio delle funzione difensiva, integrando il reato di favoreg-
               giamento personale. Pertanto, utilizzare la linea telefonica del proprio studio o il
               proprio cellulare, o la linea telefonica fissa o mobile di terzi, preavvertendo l’as-
               sistito dei movimenti delle forze di polizia che lo stanno ricercando, dandogli
               anche consigli finalizzati a evitare la cattura, rientra nel paradigma ex art. 378 c.p.,
               costituendo ex se attività criminosa, non in alcun modo espressione della funzio-
               ne difensiva, così come anche sottolineato dal codice deontologico dell’avvoca-
               tura, del ConsiglioNazionale Forense (CNF), che inibisce l’avvocato di fornire al
               cliente elementi di conoscenza finalizzati alla realizzazione di una condotta illecita .
                                                                                         (58)
               Per l’operatività del divieto, lo svolgimento dell’attività difensiva non deve risul-
               tare necessariamente da uno specifico e formale mandato, conferito secondo le
               modalità previste dall’art. 96 c.p.p., potendo desumersi l’esistenza di un mandato
               fiduciario  anche  dalla  natura  stessa  dell’incarico,  circostanza  questa  che  può
               essere confermata dallo stesso contenuto delle captazioni, oltre che dalla docu-
               mentazione prodotta dall’interessato . L’attività captativa deve riguardare solo
                                                   (59)
               quelle conversazioni e comunicazioni in danno del difensore in quanto tale, e
               dunque nell’esercizio delle funzioni inerenti al suo ufficio, quale che sia il pro-
               cedimento cui si riferisca, e non si estende ad ogni altra conversazione, non ine-
               rente, tanto più ove costituisce essa stessa reato, così come precedentemente
               descritto, sia che si svolga nel suo studio, sia nel suo domicilio. Tale limite, non
               si traduce, in definitiva, in un divieto assoluto di conoscenza ex ante, come se il
               legale godesse di un ambito di immunità assoluta o di un privilegio di categoria,
               ma implica una verifica postuma del rispetto dei relativi limiti, la cui viola-
               zione comporta l’inutilizzabilità delle risultanze dell’ascolto non consentito,
               ex art. 103, comma 7, e la distruzione della relativa documentazione, a norma
               dell’art. 271 c.p.p. richiamato dallo stesso art. 103, comma 7, c.p.p. .
                                                                                  (60)
                     L’inutilizzabilità sancita ex art. 103, comma 5, c.p.p., estesa anche agli inve-
               stigatori privati autorizzati e incaricati, è posta a garanzia della necessaria riser-
               vatezza  dell’attività  difensiva  e,  quindi,  dipende  esclusivamente  dalla  natura
               della conversazione intercettata, verificabile anche a posteriori.


               (57)  Cass. Pen., Sez. Sesta, Sent., 2 novembre 1998, n. 1472 (rv. 213451), in CED Cassazione, 1998.
               (58)  Cass. Pen., Sez. Sesta, Sent., 16 giugno 2003, n. 1266 (rv. 35656), in CED Cassazione, 2003.
               (59)  Cass. Pen., Sez. Sesta, Sent., 16 dicembre 2002, n. 10664 (rv. 223965), in CED Cassazione, 2002.
               (60)  Cass. Pen., Sez. Quinta, Sent., 12 febbraio 2003, n. 20072, (rv. 224944), in CED Cassazione, 2003.

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