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IL METODO OPERATIVO
Abbiamo avuto anche noi, in quegli anni, rapporti con gli organi di stampa;
ma ci siamo sempre mossi con la massima attenzione, affinché le notizie fossero
trasmesse nel modo “giusto” per non pregiudicare la riuscita delle operazioni in
corso e/o per “coprire”, con ricostruzioni di comodo credibili, le modalità con
cui avevamo effettivamente operato. I nostri nominativi, seppur noti alla mag-
gior parte dei giornalisti, non sono mai stati riportati, anche in occasione di
operazioni di eccezionale importanza. Se ora abbiamo accettato di descrivere in
maniera organica cosa abbiamo fatto in quel periodo, è anche per ridimensio-
nare ruoli o meriti che taluni si erano e si sono ingiustamente attribuiti, nonché
per respingere disinformate e strumentali ricostruzioni da parte di presunti
“tecnici” del settore, più o meno blasonati.
Altro aspetto che ci amareggiò, dopo tanto lavoro e tanti rischi, furono
alcune iniziative legislative inerenti i pentiti e i dissociati. Fenomeno quest’ulti-
mo che andò progressivamente irrobustendosi, specie dalla metà degli anni
Ottanta in concomitanza con il progredire di operazioni di servizio destabiliz-
zanti per le organizzazioni e l’arresto di militanti rappresentativi.
Sull’argomento vi è ampia editoria, per cui eviterò approfondimenti che meri-
terebbero trattazioni ben diffuse.
In effetti a trarre vantaggio, nel tempo, da questo stato di cose furono
soprattutto i terroristi che avevano scelto di dissociarsi. Si trattava di persone,
molte delle quali responsabili di molteplici omicidi, che dichiararono di volersi
dissociare dall’organizzazione terroristica di riferimento, non riconoscendosi più
nelle logiche fondative della lotta armata o giudicando ormai superata la fase che
l’aveva “legittimata”. Dissociarsi e basta insomma, senza cioè fornire alcun con-
tributo, almeno per fermare quei loro compagni ancora irriducibili che continua-
vano a compiere omicidi e attentati. È pur vero, tuttavia, che la loro dissociazio-
ne, espressa pubblicamente e/o attraverso documenti interni di critica, contribuì
a minare la coesione interna e accentuò la difficoltà a costruire condizioni aggre-
gative condivise. Moltissimi di questi soggetti, seppur condannati a pene lun-
ghissime, sono stati scarcerati, operano in strutture anche importanti e vengono
spesso chiamati a discettare sugli “anni di piombo” in molteplici consessi. Quasi
che la loro fosse un’esperienza da descrivere, se non addirittura da rivendicare,
come naturale conseguenza della situazione in cui versava l’intero Paese.
Viceversa, i pentiti hanno ricevuto un trattamento ben peggiore nonostan-
te siano stati la chiave di volta per migliorare la conoscenza delle organizzazioni
eversive, per riuscire a romperne il vincolo di solidarietà e per condurre a ter-
mine con successo le operazioni di contrasto che hanno portato all’arresto di
intere strutture.
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