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CYBERBULLISMO: LE INSIDIE DELLA RETE




                        Dal contenuto complessivo della legge, si desume che il legislatore tende
                  ad un approccio rieducativo e al reinserimento sociale andando a privilegiare
                  percorsi alternativi alla sanzione. In questo ambito, è giusto ricordare le ipotesi
                  di proscioglimento per irrilevanza del fatto (art. 27 DPR 448/1988), per effetto
                  di perdono giudiziale (art. 169 c.p.) e per esito positivo del percorso di messa
                                                               (27)
                  alla prova (artt. 28 e 29 DPR 448/1988) . Anche sul piano civilistico, nel caso
                  di specie, la vittima del cyberbullismo può chiedere il risarcimento dei danni per

                  le vessazioni subite (ex art. 2043 c.c.). Il bullo può rispondere di responsabilità
                  extracontrattuale dal momento che non è richiesta la capacità di agire ma la
                  capacità di intendere e di volere; se chi ha commesso il danno è maggiorenne
                  la responsabilità civile è esclusivamente dell’autore. Se è minore e al momento
                  della commissione risulta incapace di intendere e di volere sono applicabili gli
                  artt. 2046 e 2047 c.c. .
                                         (28)
                        La Cassazione civile, sez. Terza, sent. 25 settembre 2014, n. 2019, ha sta-
                  bilito che gli autori di bullismo o cyberbullismo hanno una responsabilità soli-
                  dale oggettiva, condivisa tra tutti coloro che hanno preso parte all’episodio, a
                  prescindere dal ruolo svolto. Il danneggiato può rivolgersi, per l’intero risarci-

                  mento, al singolo ma, successivamente, quest’ultimo potrà rivalersi sugli altri
                  responsabili. Quando l’autore ha un’età inferiore ai diciotto anni si pone il pro-
                  blema della responsabilità civile dei genitori o di coloro che del minore hanno
                  la sorveglianza o la cura. Il non esercitare una vigilanza adeguata all’età e indi-
                  rizzata a correggere comportamenti inadeguati (culpa in vigilando) è alla base
                  della responsabilità dei genitori per gli atti illeciti commessi dal figlio minorenne
                  che sia capace di intendere e di volere; di tali atti non può, infatti, per legge

                  rispondere il minore, in quanto non ha autonomia patrimoniale. In questo caso
                  si applica l’art. 2048 c.c., primo comma, che recita: “Il padre e la madre, o il tutore
                  sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle
                  persone soggette alla tutela che abitano con essi”.
                                                                                           (29)
                        L’omissione parentale risulta un’omissione per fatto proprio , e la prova
                  liberatoria fissata dal comma 3 del medesimo art. 2048 non può essere raggiunta


                  (27)  Per maggiori approfondimenti, si rinvia a ARCIULI F. R., Devianza giovanile. Prevenzione, repres-
                        sione, rieducazione. Tipologie di devianza a confronto: dalle baby gang al bullismo, il fenomeno nell’esperien-
                        za giudiziaria, relazione presentata in occasione del corso presso la Scuola Superiore della
                        Magistratura tenutosi il 6 maggio 2019 presso la sede di Scandicci (FI).
                  (28)  Si applica in questo caso l’art. 2046 del c.c. che, in tema di “Imputabilità del fatto dannoso”, san-
                        cisce che: “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di vole-
                        re al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.
                  (29)  L’omissione parentale come omissione per fatto proprio risulta da diverse sentenze della Corte
                        di Cassazione: Corte di Cassazione, Sez. Terza, 20 ottobre 2005, n. 20322; Corte di Cassazione,
                        Sez. Terza, 28 marzo 2001, n. 4481; Corte di Cassazione, Sez. Terza, 9 ottobre 1997, n. 9815.

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