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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
In particolare, il ricorrente aveva eccepito che i Carabinieri inquirenti non
avevano comprovato la sua consapevolezza circa l’interesse storico o artistico
degli oggetti rinvenuti. Peraltro, nel caso in esame, si era dovuto ricorrere, nella
fase delle indagini preliminari, al giudizio di un esperto, segno manifesto della
non palese evidenza della culturalità del bene. La suprema Corte ha ritenuto
infondato il ricorso stabilendo che «preliminarmente non si ravvisano ragioni
per discostarsi, dopo la riforma di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, (Codice
dei beni culturali e del paesaggio) dall’indirizzo interpretativo, ribadito da questa
suprema Corte con varie pronunce nella vigenza dell’abrogato D.Lgs. n. 490 del
1999, secondo il quale, “ai fini della configurabilità del reato di cui al D.Lgs. 29
ottobre 1999, n. 490, art. 125, impossessamento illecito di beni culturali appar-
tenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un
formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la
desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche dell’oggetto,
non essendo richiesto un particolare pregio per i beni culturali di cui al citato
D.Lgs. n. 490 del 1991, art. 1, comma 1” (Sez. Terza, 200347922, Petroni, RV
226870; Sez. Terza, 200145814, Cricelli, RV 220742; 200142291, Licciardello,
RV 220626) ».
(28)
Proseguendo nella motivazione, la suprema Corte ha ritenuto congruo
che i giudici di merito avessero dedotto l’elemento psicologico della consape-
volezza dell’interesse archeologico delle monete dalle contraddizioni riscontrate
tra le successive versioni riferite dallo stesso circa le modalità attraverso le quali
ne era venuto in possesso (prima avrebbe affermato di averle acquistate presso
un mercatino unitamente agli altri oggetti, che si è accertato essere privi di inte-
resse storico, e successivamente di averle ricevute dal nonno) e dalla circostanza
del possesso da parte dell’imputato di un metal detector abitualmente utilizzato da
chi effettua scavi archeologici.
(28) Così prosegue, per dovere di completezza il passaggio della S.C.: «Il D.Lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42, art. 91, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio attualmente vigente, infatti, attribuisce
alla proprietà dello Stato tutti i beni immobili e mobili, oggetto di ritrovamento, da “chiunque ed in qualun-
que modo”, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, analogamente a quanto
previsto dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 88, senza che sia necessario un formale provvedimento che rico-
nosca il loro interesse culturale, emesso dall’autorità amministrativa ai sensi del citato D.Lgs. n. 42 del
2004, art. 13. Detto provvedimento è, invece, necessario solo per i beni di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004,
art. 10, comma 3, e, cioè, per quei beni che risultino appartenere a privati in base ad un titolo che ne legittimi
la disponibilità. In tutti gli altri casi, perciò, i beni di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 1,
appartengono allo Stato sulla base del mero accertamento del loro interesse culturale. Per integrare la fatti-
specie criminosa di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176, comma 1, che si pone in evidente continuità nor-
mativa con il reato già previsto dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 125, di cui alla contestazione, pertanto,
non occorre alcun provvedimento formale, che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropo-
logico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso, allorché quest’ultimo non dimostri di esserne
legittimo proprietario, sicché si possa affermare, anche sulla base di adeguati elementi indiziali, che gli stessi
sono stati oggetto di ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente l’accertamento dei requisiti culturali del bene,
secondo le indicazioni contenute nel citato D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10».
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