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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
Nonostante ciò, per la loro particolare natura e disciplina giuridica, la giu-
risprudenza considera il possesso di oggetti archeologici quale fatto indiziante
dell’avvenuta commissione di altri reati.
Chiarito infatti l’impianto normativo generale relativo alla proprietà statale
dei beni archeologici, si deve ben configurare l’ipotesi di reato che debba essere
contestato in occasione del possesso ingiustificato dei reperti.
a. Impossessamento dei beni archeologici
Codice dei beni. Art. 176. Impossessamento illecito di beni culturali
appartenenti allo Stato:
«1. Chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’articolo 10 appartenenti allo
Stato ai sensi dell’articolo 91 è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro
31 a euro 516,50.
2. La pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.033
se il fatto è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dall’art. 89» .
(22)
Art. 91. Appartenenza e qualificazione delle cose ritrovate
«1. Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel
sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o
mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e
826 del Codice civile.
2. Qualora si proceda per conto dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici terri-
toriali o di altro ente o istituto pubblico alla demolizione di un immobile, tra i materiali di
risulta che per contratto siano stati riservati all’impresa di demolizione non sono comprese le
cose rinvenienti dall’abbattimento che abbiano l’interesse di cui all’articolo 10, comma 3, let-
tera a). È nullo ogni patto contrario».
b. La ratio della norma e l’ambito di applicazione
La norma in esame sanziona la condotta compiuta da chi si impossessa dei
beni culturali indicati all’art. 10 appartenenti allo Stato ai sensi dell’art. 91 .
(23)
(22) Il delitto in oggetto riprende la formulazione dell’art. 125 del T.U. del 1999 che aveva già
modificato, in modo sostanziale sia nell’ipotesi base sia nell’aggravante, il cosiddetto “furto
archeologico” previsto dall’art. 67 della legge 1° giugno 1939, n. 1089. Confrontando le
enunciazioni del 1939 e del 1999, si rileva che: nella prima, il reato commesso da “Chiunque
si impossessa di cose di antichità o d’arte, rinvenute fortuitamente, ovvero in seguito a ricer-
che o opere in genere”, era sanzionato ai sensi dell’art. 624 del c.p. (furto); nella seconda,
“Chiunque s’impossessa di beni culturali indicati nell’art. 10, appartenenti allo Stato ai sensi
dell’art. 91, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 31 a 516,50”.
Questa formulazione, pertanto, esplicita direttamente la sanzione.
(23) La disposizione riproduce testualmente il reato già previsto dall’art. 125 del testo unico del
1999 che, a sua volta, aveva innovato la fattispecie in precedenza sanzionata dell’art. 67 della
legge 1089 del 1939.
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