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ASPETTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA PER LA TUTELA DEI BENI ARCHEOLOGICI
Il supremo collegio, in relazione alle cose d’interesse archeologico rinvenute in
Italia dopo l’entrata in vigore della legge 20 giugno 1909, n. 364 , ha nuovamente
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affermato il principio in forza del quale debba essere il privato, agendo in rivendi-
cazione della proprietà, a fornire la prova del loro ritrovamento avvenuto all’estero
o comunque dimostrare l’esercizio sulle stesse di legittime cause di possesso. Il prin-
cipio dell’appartenenza allo Stato dei beni di interesse archeologico scoperti sul ter-
ritorio nazionale, introdotto per la prima volta dal legislatore italiano con la legge n. 364
del 1909 e poi rafforzato dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089 (legge Bottai), è stato
costantemente ripreso nell’evoluzione legislativa fino alla definitiva conferma del
Codice dei beni, che prevede che le cose mobili o immobili di interesse storico-arti-
stico e archeologico, da chiunque ritrovate o scoperte entro i confini italiani, entrano
a far parte del demanio o del patrimonio indisponibile ai sensi all’art. 91 .
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L’attribuzione al privato rappresenta dunque un’eccezione rispetto alla
regola generale della proprietà pubblica. Lo scopo della norma risiede con pal-
mare evidenza nella finalità di perseguire l’interesse generale della salvaguardia
del patrimonio storico nazionale e «l’acquisizione statale, in deroga agli istituti privati
dell’occupazione e dell’invenzione riferiti alla disciplina del “tesoro”, prevale sui diritti del
proprietario del fondo o dello scopritore ai quali, come già accennato, viene assegnata un’in-
dennità o concesso il rilascio del bene in natura quale premio per il suo rinvenimento» .
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In estrema sintesi, il legittimo possesso del privato potrà derivarsi solo
dalla dimostrazione di:
➢ un acquisto estero del bene;
➢ un impossessamento antecedente la legge 364/1909;
➢ una scoperta fortuita legittimamente comunicata alla autorità ovvero
derivante da scavo autorizzato cui sia seguita, in ciascun caso, l’assegnazione del
bene al privato quale premio del ritrovamento.
circostanza eccezionale che poteva costituire un’ipotesi di legittimo possesso privato, il ritrovamen-
to degli oggetti in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 364/1909. Il mancato accerta-
mento, infine, del requisito di “culturalità” attraverso un iter amministrativo di verifica “non dimo-
stra” ha precisato la Suprema Corte “il carattere privato dei beni e l’impossibilità di ascriverlo al
patrimonio indisponibile dello Stato, essendo il requisito culturale insito negli stessi beni, per il loro
appartenere alla categoria delle cose di interesse archeologico” (Cass., n. 2995 del 2006, cit.). Di
conseguenza, i beni sottoposti a tale vincolo non possono essere sottratti alla loro destinazione (se
non nei modi stabiliti dalla legge) e alla pubblica fruizione (artt. 98 e ss. del T.U. Melandri-Veltroni
e art. 102 Codice dei beni), ciò escludendo in ogni caso che possano costituire oggetto di possesso
valido per l’usucapione (Cass. civ., Sez. Seconda, 28 agosto 2002, n. 12608).
(11) Legge 20 giugno 1909, n. 364 “Che stabilisce e fissa norme per l’inalienabilità delle antichità
e delle belle arti”, (G.U. 28 giugno 1909, n. 150).
(12) Codice dei beni, art. 91: Le cose indicate nell’articolo 10 - e cioè le cose mobili ed immobili che presentano
interesse artistico, storico archeologico e etnoantropologico - da chiunque in qualunque modo ritrovate nel sot-
tosuolo o sui fondali marini appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili fanno
parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del Codice civile.
(13) Cass. civ., Sez. Seconda, 26 aprile 2017, n. 10303.
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