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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
b. L’orientamento consolidato della giurisprudenza
La pronuncia della suprema Corte del 2017 conferma invero un orienta-
mento sempre più consolidato e ricorrente che sostiene il principio dell’appar-
tenenza allo Stato dei beni culturali archeologici scavati e scoperti dal sottosuo-
lo nazionale o dai fondali marini territoriali.
Si veda, in proposito, una precedente sentenza della Cassazione del
2015 che, dirimendo una questione sulla confisca dei beni archeologici in un
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procedimento a carico di soggetto indagato per il reato di cui all’art. 174 del
Codice dei beni (esportazione illecita dei beni culturali) conclusosi con un
decreto di archiviazione per prescrizione, così precisava: «Va ricordato che sui beni
archeologici vige una presunzione di proprietà pubblica con la conseguenza che essi apparten-
gono allo Stato italiano in virtù della legge (legge n. 364 del 1909, Regio Decreto n. 363 del
1913, legge n. 1089 del 1939, articoli 828 e 832 del Codice civile), la cui disciplina è rima-
sta invariata con l’introduzione del decreto legislativo 42 del 2004. Sono fatte salve le ipotesi
tassative e particolari nelle quali il privato che intenda rivendicare la legittima proprietà dei
reperti archeologici deve fornire la relativa, rigorosa prova dimostrando che:
➢ i reperti gli siano stati assegnati in premio per il loro ritrovamento;
➢ i reperti gli siano stati ceduti dallo Stato;
➢ i reperti siano stati acquistati in data anteriore all’entrata in vigore della legge n.
364 del 1909…
[...] Da ciò consegue che la disciplina dei beni culturali è retta da una presunzione di pro-
prietà statale che non crea una ingiustificata posizione di privilegio probatorio perché siffatta pre-
sunzione fonda, oltre che sull’id quod plerumque accidit anche su una normalità normativa sicché,
opponendosi una circostanza eccezionale, idonea a vincere la presunzione, deve darsene la prova.
Pertanto, dal complesso delle disposizioni contenute nel Codice civile nella legislazione
speciale, regolante i ritrovamenti e le scoperte archeologiche, ed il relativo regime di apparte-
nenza, si ricava il principio generale della proprietà statale delle cose d’interesse archeologico
e della eccezionalità delle ipotesi di dominio privato sugli oggetti».
Invero, gli stessi principi in tema di proprietà dei beni culturali e in tema
di prova della stessa erano già stati affermati dalla Corte anche in sede penale
nel 29 aprile 2010 che così si era espressa: «a partire dalla legge 20 giugno 1909,
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n. 364, le cose di interesse archeologico scoperte appartengono allo Stato, per cui è onere del
privato dimostrare la legittimità della provenienza dei reperti detenuti».
(14) Cass. pen., Sez. Terza, 22 ottobre 2015, n. 42458.
(15) Cass. pen., Sez Terza, 29 aprile 2010, n. 28239. Si veda altresì anche Cass. pen., 11 novembre 2011, n.
41070, nella quale, sul medesimo tema dell’onere della prova in capo al privato afferma che “secondo
la giurisprudenza consolidata (salvo qualche decisione isolata) di questa Corte, dal momento che il
possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indispo-
nibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta) deve ritenersi illegittimo, il detentore ha l’onere
di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 43, 44
e 46 (cfr. Cass. pen. Sez. Seconda, n. 12087 del 27 giugno1995 - Dal Lago)”.
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