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                      ASPETTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA PER LA TUTELA DEI BENI ARCHEOLOGICI



                       La cognizione di questo elemento dovrà desumersi dal comportamento
                  antecedente  e  susseguente  il  rinvenimento  ovvero  dal  particolare  uso  che
                  l’agente ne abbia fatto una volta impossessatosene.
                       Non sono necessarie particolari e specifiche competenze accademiche per
                  comprendere il valore culturale di un bene. La valenza culturale di un bene può
                  essere talvolta particolarmente evidente anche secondo una normale diligenza e
                  in assenza di una istruzione specifica e approfondita. Questo è il caso tipico del
                  rinvenimento di materiale ceramico e fittile, ossia quello derivante dalla plasma-
                  zione e successiva cottura dell’argilla variamente dipinta o decorata: è evidente a
                  chiunque che un antico vaso in ceramica o un’antica anfora in terracotta implichi-
                  no un minimo valore culturale. È questo pure il caso del rinvenimento numisma-
                  tico, per il quale il riconoscimento della culturalità dell’oggetto emerge non solo
                  dalla fusione e coniazione del metallo ma anche dalla presenza di immagini ed
                  incisioni che rendono di palmare evidenza l’interesse culturale del bene: in altre
                  parole, non si può dubitare che chiunque trovi una moneta antica la ritenga di un
                  certo interesse. Meno evidente, nell’esperienza pratica, è la riconoscibilità dell’in-
                  teresse etnologico o paletnologico dei reperti archeologici, per i quali il valore cul-
                  turale può essere apprezzato solo grazie all’estrema sensibilità dell’agente o alla
                  sua  particolare  preparazione  culturale.  L’etnologia,  come  la  paletnologia,  è  la
                  disciplina che studia l’evoluzione delle culture umane, con particolare riguardo
                  all’analisi delle tecniche, dei costumi e delle relazioni sociali, per cui molto spesso
                  la natura o la destinazione d’uso degli oggetti rinvenuti sul terreno può essere
                  riconosciuta solo grazie ad una approfondita conoscenza della materia e possono
                  essere confusi facilmente con comuni oggetti di pietra privi di qualsiasi valore. Si
                  pensi ad esempio ad un utensile in pietra utilizzato per la concia delle pelli in età
                  neolitica ovvero ai resti di un’ascia litoide che, ad un occhio inesperto, possono
                  benissimo apparire come degli irrilevanti e comuni ciottoli levigati da una parte e
                  scheggiati dall’altra. In questi casi, dunque, può essere convincente sostenere che,
                  senza una preparazione specifica e solo ricorrendo alla comune sensibilità, l’agen-
                  te non sarebbe stato in grado  di comprendere la valenza culturale dell’oggetto.
                       Per un completo costrutto probatorio, la sussistenza dell’elemento psicolo-
                  gico del reato deve emergere da un giusto equilibrio tra natura, struttura e foggia
                  del bene e la particolare formazione culturale e professionale del soggetto agente.
                  Il  tema  dell’errore  su  un  elemento  costitutivo  della  fattispecie  penale  è  stato
                  direttamente affrontato in tema di beni culturali dalla Cassazione penale  quan-
                                                                                      (27)
                  do è stata chiamata a dirimere una questione sull’impossessamento di due mone-
                  te e di un’ansa di bronzo di epoca romana da parte di un soggetto che, in fase
                  processuale, aveva contestato l’esistenza dell’elemento psicologico del reato.

                  (27)  Cass. pen., 28 novembre 2006, n. 39109.
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