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A PROPOSITO DI BOSCHI SACRI NELL’ESPERIENZA GIURIDICA ROMANA
Comunque sia, Mommsen fondava la sua tesi su alcuni appigli testuali, fra
i quali spicca un passo di Frontino, relativo ai boschi sacri ; ma anche la que-
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stione dei lucaria era portata a sostegno della sua tesi. Egli scriveva che «quando
un bene consacrato al culto è produttivo, cosa che spesso vale per i boschi sacri,
la rendita, ossia il danaro ricavato dalla vendita della legna (lucar) non è un bene
degli dèi, ma è profano» . La posizione di Mommsen fu avversata in modo
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piuttosto deciso da Bonfante e, più in generale, il suo tentativo di far ricadere
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le res sacrae nell’ambito più vasto dei beni pubblici suscitò numerose prese di
distanza .
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Non è certo questa la sede ove approfondire una questione di così vasta
portata; mi limito solo ad osservare che, forse, non si può pretendere dalle fonti
antiche, anche giuridiche, una precisione che non di rado manca anche nei con-
temporanei. Se comunque si volesse rimanere su di un piano sistematico (al
quale peraltro la materia poco si presta) mi pare che colga precisamente il punto
Grosso, quando afferma che il «carattere delle divinità proprie di ciascuna comu-
nità statuale, che fa sì che la religione stessa […] sia un affare di Stato, […] è il
substrato che sembra dar corpo a quella tesi, che vuol vedere nel patrimonio
degli dei una titolarità dello Stato, del popolo romano, tesi che però come
costruzione giuridica va respinta» . Tralasciando, dunque, di addentrarci più
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oltre nel problema della distinzione fra res sacrae e res publicae, resta il fatto che
gli indizi circa la redditività dei luci sacri sono pochi e frammentari.
Ma, soprattutto, non si può trascurare il fatto che per i boschi sacri pro-
priamente detti sappiamo per certo che non solo vigeva il divieto di asportarvi
alcunché, ma era anche prescritto che le ordinarie operazioni di manutenzione
si compissero in modi e tempi tassativamente stabiliti, e fossero accompagnate
da sacrifici espiatori piuttosto onerosi .
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(38) Sul quale, infra, § 3.
(39) T. MOMMSEN, op. cit., pag. 69. In quel contesto Mommsen menziona anche il lucar Libitinae
che si trova in una iscrizione da Bergamo (CIL V, 3128) che però risulta estremamente dif-
ficile da interpretare in tal senso, poiché se pure pare esistesse un lucus Libitinae sull’Esquilino
(Asc., In Milon. 34), il lucar Libitinae va verosimilmente ricollegato a una ipotetica lex regia
risalente a Servio Tullio, per effetto della quale per ogni decesso un obolo doveva essere
deposto nel tesoro di Libitina (Dion. Hal., Ant. Rom., IV.15). Peraltro, Libitina è divinità
legata alla morte, il cui nome è spesso usato come sinonimo della morte stessa; pertanto, il
termine lucar Libitinae si potrebbe anche leggere come un riferimento alla mercede dovuta
per le pompe funebri.
(40) P. BONFANTE, Corso di diritto romano. La proprietà, Milano, 1966, pag. 22.
(41) Cfr. V. SCIALOJA, Teoria della proprietà nel diritto romano, Roma, 1928, pagg. 144 ss.; G. GROSSO,
Corso di diritto romano. Le cose, rist. in Rivista di diritto romano I, 2001, pagg. 19 ss.
(42) G. GROSSO, op. cit., pag. 20.
(43) Infra, § 3.
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