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INSERTO



                  Su spinta della famiglia di Dreyfus, una piccola avanguardia di intellettuali
             (e di politici) sostiene la ricostruzione corretta, o comunque chiede la revisione
             del processo: non fosse per altro, Dreyfus è stato condannato sulla base di un
             documento ignoto, macroscopica violazione del diritto di difesa. Il 13 gennaio
             1898, su «L’Aurore», Zola pubblica il suo celeberrimo «J’accuse», suscitando
             enorme clamore. In questo clima la Corte di Cassazione nel giugno 1899 annul-
             la con rinvio la sentenza di condanna. Il 18 luglio Dreyfus rientra in Francia. Il
             7 agosto si apre il nuovo processo presso la Corte Marziale, in un’atmosfera sur-
             reale. Pressioni di tutti i tipi piovono sulla testa dei giudici: sette uomini non
             possono screditare l’esercito, e con esso tutte le istituzioni francesi. Dreyfus
             viene nuovamente condannato per tradimento ma, essendogli riconosciute le
             attenuanti generiche, prende solo dieci anni. Questa seconda pronuncia del col-
             legio (che passa con due voti contrari) se possibile precede la prima nel reper-
             torio della teratologia forense: questa volta lo sapevano innocente.
                  Successivamente  il  Capitano  Dreyfus  verrà,  nell’ordine,  prima  graziato,
             poi comunque assolto, infine reintegrato nell’esercito e insignito della Legion
             d’onore, ma resterà per sempre una vittima esemplare della “giustizia politica”.
                  Per affrontare il terrorismo nazionalista francese dell’OAS, imperversante
             in Algeria all’inizio degli anni Sessanta, il legislatore aveva creato nel 1963 una
             giurisdizione speciale, una sorta di corte marziale mascherata, non limitata ai
             reati commessi dai militari: la Cour de sûreté de l’État , costituita da magistrati
                                                               (34)
             togati e da ufficiali generali o superiori, e caratterizzata da una procedura pecu-
             liare: azione penale conseguente a un ordre governativo; magistrati nominati dal
             Conseil des Ministres e tutt’altro che inamovibili; tempi di custodia cautelare estesi;
             perquisizioni e sequestri più semplici per le forze di polizia; limitazioni al diritto
             di  appello;  controlli  restrittivi  sugli  avvocati.  Bollata  immediatamente  da
             François Mitterand come Le Coup d’État permanent - così recita il titolo del suo
             libro datato 1964 -, verrà abrogata nel 1981, subito dopo la sua elezione alla
             Presidenza della Repubblica. Nel frattempo è stata quindi usata per reprimere
             il terrorismo politico-ideologico degli anni Settanta. Che si trattasse di “giustizia
             politica” emerge espressamente anche da quanto detto da François Romério,
             neo Primo Presidente della Cour de sûreté de l’État, rispondendo, durante la ceri-
             monia d’insediamento tenutasi il 27 febbraio 1965, alle enormi critiche prove-
             nienti da più parti (come abbiamo visto anche da Mitterand): «Sommes-nous
             enfin une juridiction politique? N’ayons pas peur des mots. Oui, la Cour de
             (34)  Cfr. V. CODACCIONI, Justice d’exception. La cour de sûreté de l’État sous la V  République: L’État face
                                                                        e
                  aux crimes politiques et terrorists, Parigi, CNRS édition, 2015; V. DELAPORTE, Aux origines de la
                  Cour de sûreté de l’État. La conquête d’un pouvoir de punir par l’exécutif  (1960-1963), in Vingtième
                  Siècle. Revue D’histoire, 4, 2018, pagg. 137 ss.; P. G. CERNY, op. cit.

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