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DOTTRINA



             4.  Le questioni di costituzionalità relative all’ergastolo ostativo e la sentenza
               della Corte costituzionale n. 253 del 2019
                  L’ergastolo  come  pena  realmente  perpetua,  alla  luce  di  quanto  fin  qui
             affermato  anche  dalla  Corte  costituzionale,  si  pone  in  antitesi  con  l’art.  27,
             comma 3, Cost., sia con il senso di umanità delle pene sia con il principio di rie-
             ducazione. L’ordinamento infatti rinuncia sin da subito a reinserire il reo nel
             contesto sociale .
                            (43)
                  L’ergastolo ostativo, nella misura in cui realizza concretamente una pena
             perpetua in forza dell’esclusione dei benefici penitenziari per i reati di cui all’art.
             4-bis dell’ordinamento penitenziario, è in contrasto con l’art. 27 Cost. La citata
             norma dell’ordinamento penitenziario comporta l’inibizione del ricorso a qua-
             lunque tipo di beneficio penitenziario, dunque ad una pena realmente perpetua
             nel caso di ergastolo, a meno che il soggetto stesso non abbia collaborato con
             le autorità inquirenti e/o giudicanti, così mostrando di aver rescisso i legami, in
             particolare, con la criminalità organizzata, oppure, che la sua collaborazione
             risulti inutile o impossibile . Si tratta di una disciplina strumentale alle esigen-
                                      (44)
             ze delle indagini . Una via decisamente pericolosa quella intrapresa dal legisla-
                            (45)
             tore, dal momento che non è affatto assicurata la veridicità di quanto riferito dal
             collaborante e nemmeno che la collaborazione riesca a disgregare l’organizza-
             zione criminale. L’argomentazione decisiva è comunque che la scelta di non
             collaborare costituisce una decisione del singolo non coercibile da parte di un
             ordinamento liberale. Il condannato potrebbe non collaborare per non accusare
             suoi familiari, oppure per non aggravare la sua posizione processuale, infine per
             garantire l’incolumità dei suoi familiari e parenti. In conclusione la mancata col-
             laborazione non è espressiva di condivisione di valori criminali. Infatti, la natura
             della collaborazione, quale prova del ravvedimento e dell’assenza di pericolosità
             sociale del condannato, impedisce il concreto apprezzamento della sua situazio-
             ne, alla stregua del criterio di individualizzazione del trattamento .
                                                                           (46)
                  La Corte costituzionale, con la sentenza n. 149 del 2018 , estromette
                                                                           (47)
             una forma di ergastolo dall’ordinamento, dichiarando l’incostituzionalità del-
             l’art. 58-quater, comma 4, dell’ordinamento penitenziario per il reato di cui agli
             artt. 630 e 289-bis c.p., quando v’è la morte del sequestrato.

             (43)  Non di certo una espressione dell’ideale di un diritto penale dal volto umano, v. MORO,
                  Lezioni di istituzioni di diritto e procedura penale, tenute nella facoltà di Scienze Politiche dell’Università
                  degli Studi di Roma, Bari, 2005, 115 ss. e, quivi, 116.
             (44)  Corte cost., 24 aprile 2003, n. 135, in GIUR. IT., 2003, 1894.
             (45)  PADOVANI, La soave inquisizione. Osservazioni e rilievi a proposito delle nuove ipotesi di ravvedimento, in
                  RIDPP, 1981, 529 ss.
             (46)  Cass. pen. Sez. I Ord., 20 novembre 2018, n. 57913, in CED RV., 274659-01.
             (47)  Corte cost., 11 luglio 2018, n. 149, in www.giurcost.org.

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