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LE MAFIE A ROMA. UNA STORIA A STRATI. DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA



               salto di qualità adottando il metodo dell’omicidio come strumento decisivo di
               successo e di competizione;
                     b)Il controllo del territorio. Con esclusione delle nuove mafie minori di cui si
               parlerà, nessuna grande organizzazione esterna ha imposto un controllo del ter-
               ritorio. Si può anzi dire che nessuna vi abbia nemmeno provato. Le principali
               organizzazioni mafiose hanno puntato soprattutto a usare Roma anziché impa-
               dronirsene. Questo, spiega Federico Varese, si è verificato anche con una poten-
               te organizzazione russa attiva sulla Capitale, come la Solncevskaja bratva . La
                                                                                      (37)
               Banda della Magliana tende invece a esercitare questo controllo. Lo fa natural-
               mente su una piccola porzione di Roma, che però conta più di cinquemila abi-
               tanti. Più di Platì e di San Luca, o il doppio di Africo, per intendersi, giusto per
               non  cedere  a  pericolose  sottovalutazioni.  Nonostante  i  membri  del  gruppo
               amassero ripetere e vantarsi che Roma fosse nelle loro mani , la realtà è che
                                                                          (38)
               vi conquistarono una supremazia doppiamente limitata. In primo luogo perché
               la  Banda  conquistò  una  egemonia  sulla  dimensione  criminale  minore  della
               Capitale riuscendo a imporsi sul mercato degli stupefacenti, e a gestire “in regi-
               me di sostanziale monopolio”  le attività di spaccio in diversi quartieri della
                                             (39)
               Capitale; ma non fu mai in grado di dettare le proprie regole alle organizzazioni
               maggiori che operavano su Roma. In secondo luogo perché non costituì mai un
               potere tra gli altri, restando piuttosto una agenzia di servizi per numerosi e talo-
               ra impensabili poteri, con le conseguenze che vedremo subito;
                     c)La capacità/disponibilità all’esercizio della violenza sul campo. Mentre le grandi
               organizzazioni che giungono nel tempo a Roma risultano fisiologicamente poco
               propense all’uso della violenza “per non dare nell’occhio” e non precludersi la
               libera fruibilità della piazza, la Banda della Magliana proprio per le sue caratteri-
               stiche ha invece bisogno della violenza. E per questo innova lo storico modello
               criminale romano introducendovi, come detto, il metodo (discriminante) del-
               l’omicidio. È questa infatti la prima risorsa necessaria per imporsi nella dura sele-
               zione naturale che conduce al massimo palcoscenico criminale. E certo la facilità
               del suo impiego pone - ora sì - il problema del “vuoto di Stato”, visto che la
               banda diventa rapidamente punto di riferimento per un ventaglio diversificato di
               bisogni, di domande e strategie, e non solo per la piccola criminalità locale;
                     d)La funzione unificante. Come sempre accade, il controllo ferreo di un ter-
               ritorio da parte di un’organizzazione criminale crea da parte di quest’ultima una
               vis attractiva, un effetto di attrazione e di deferenza/subordinazione da parte

               (37)  Federico VARESE, Mafie in movimento, Einaudi, Torino, 2011, Cap. IV.
               (38)  Angela CAMUSO, Mai ci fu pietà. La banda della Magliana dal 1977 a Mafia capitale, Castelvecchi,
                     Roma, 2009.
               (39)  Otello LUPACCHINI, Banda della Magliana. Alleanza tra mafiosi, terroristi, spioni, politici e prelati,
                     Koinè, Roma, 2005; pag. 69.

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