Page 28 - Rassegna 2020-3
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DOTTRINA



                  Forse per le pressioni continue e incisive esercitate dalle Forze dell’ordine
             nella madrepatria siciliana? Forse per l’azione di una commissione antimafia
             che, nonostante i suoi limiti, appariva tutt’altro che corriva? Forse per gli equi-
             libri instabili dentro Cosa nostra? O per i maggiori controlli di polizia su Roma
             indotti da un certo punto in poi dalla lotta al terrorismo? Fatto sta che le suc-
             cessive dinamiche siciliane e nazionali (qui troppo lunghe e complesse da rico-
             struire) non consentirono a Cosa nostra uno sviluppo all’altezza delle premesse
             accumulate in un ventennio. Delle quali però molto rimase sul campo.
                  Quel che è accaduto dopo ha colto i frutti di questo lungo periodo di incu-
             bazione. E ha originato un nuovo periodo anch’esso riempito - come si è accen-
             nato - di viaggi, di relazioni, di giri “delle sette chiese” tra i poteri della Capitale,
             in cerca di favori e anche di opportunità di investimento per capitali sempre più
             cospicui. Si sono semmai rarefatti i soggiornanti obbligati, mentre si sono mol-
             tiplicati i liberi portatori di interessi e capitali. I boss di prestigio vi si sono avvi-
             cendati e sommati a decine, tutti senza particolari pretese di imporre, come
             degli invasori, il classico controllo del territorio, realizzatosi invece spontanea-
             mente nelle località minori in forza della concentrazione dei capi e dei loro
             compaesani. E si è allargato il ventaglio delle organizzazioni presenti, in linea
             con le nuove gerarchie, con l’egemonia declinante di Cosa nostra e quella in cre-
             scita incessante della ‘Ndrangheta, con una nebulosa effervescente di camorra
             imprenditrice.
                  Si sono succeduti nomi ed episodi a rotazione e in sovraimpressione, quasi
             a comunicare un caleidoscopio infinito. Pippo Calderone capo della Cosa nostra
             catanese, ad esempio, che nel 1968 se andò a Roma al ministero degli Affari
             Esteri dal sottosegretario ragusano Giuseppe Lupis (governo Moro III) con
             una borsa con novanta milioni di lire. Missione riuscita: comperare il titolo di
             cavaliere del lavoro per i grandi imprenditori catanesi, che egli stesso protegge-
             va . O un altro Pippo, palermitano questa volta, Pippo Calò, “il cassiere di
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             Cosa nostra”, l’uomo della Cupola legato ai corleonesi, portato improvvisamen-
             te alla ribalta dal maxiprocesso, che sotto il falso nome di Mario Aglialoro giun-
             se agli inizi degli anni Settanta a Roma per investire in patrimoni immobiliari i
             primi grandi capitali sporchi dell’organizzazione, e per gestire attività di riciclag-
             gio internazionale usando i canali finanziari suggeriti o messi a disposizione da
             Licio Gelli e Roberto Calvi. O gli infiniti viaggi di Vito Ciancimino, a cui la qua-
             lità  di  politico  facilitava  naturalmente  visite  e  accoglienze  calorose,  talora  in
             pubblico, pure con le personalità politiche più in vista .
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             (30)  Pino ARLACCHI, Gli uomini del disonore, Mondadori, Milano, 1994, pagg. 191-192.
             (31)  Massimo CIANCIMINO, Francesco LA LICATA, Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia nel
                  racconto di un testimone d’eccezione, Feltrinelli, Milano, 2013.

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