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LE MAFIE A ROMA. UNA STORIA A STRATI. DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA



               chi giunto (per compiacenze ministeriali o giudiziarie) in soggiorno obbligato
               chi arrivato spontaneamente. E lì, esattamente a Guidonia Montecelio, scelse di
               andare a risiedere un anno dopo l’arrivo di Liggio pure un altro siciliano di
               rango, Natale Rimi, il terzo dei nomi emersi disordinatamente nella memoria.
               E questa è senza dubbio la storia che illustra meglio delle altre la natura strate-
               gica della avanzata mafiosa verso Roma.
                     La vicenda di Natale Rimi, venuta alla luce all’inizio degli anni Settanta,
               costituì un vero e proprio scandalo nazionale che impegnò a lungo il parlamento,
               l’amministrazione della giustizia, le Forze dell’ordine e gli stessi maggiori quoti-
               diani del Paese. La notizia era clamorosa. Il figlio del boss di Alcamo Vincenzo
               Rimi,  egli  stesso  arrestato  nel  luglio  1971  come  mafioso  dall’Arma  dei
               Carabinieri, era stato assunto l’anno prima dalla neo-istituita Regione Lazio con
               modalità illegali , segnalando per la prima volta l’esistenza di una vera strategia
                              (16)
               di inserimento istituzionale di Cosa nostra nella Capitale e nel Lazio. Il quadro di
               riferimento storico è semplice e rivelatore. Il 1970 era stato l’anno di istituzione
               delle regioni previste dal titolo V della Costituzione, non attuate fino allora se non
               nelle loro varianti ad autonomia speciale. Tra queste ultime spiccava la Sicilia, la
               quale, stando a Michele Pantaleone , almeno fino alla fine degli anni Cinquanta
                                                 (17)
               aveva proceduto al reclutamento dei propri dipendenti soprattutto per chiamata
               diretta, alimentando un fitto sistema clientelare che aveva consentito di fare della
               Regione un formidabile strumento di ricchezza e di potere per i clan siciliani.
                     Perché  non  adottare  lo  stesso  efficacissimo  sistema  con  la  neonata
               Regione Lazio? Gli interessi da servire e le prime (potenti) diplomazie erano già
               presenti sul campo. Non godendo ancora delle relazioni sufficienti a controllare
               le assunzioni locali, l’inserimento del primo emissario di Cosa nostra nel nuovo
               organismo istituzionale fu attuato grazie a un meccanismo che non poteva che
               essere totalmente politico. Non per nulla la stessa Commissione parlamentare
               antimafia della V legislatura presieduta dall’on. Francesco Cattanei scrisse che
               tutto, nel caso di Natale Rimi, faceva “sospettare un coordinato disegno mafio-
               so atto a favorirlo ed assicurare per il suo tramite un’utile presenza mafiosa nella
               Regione Lazio” . Il protagonista era un giovanotto di trentatre anni, esponen-
                              (18)
               te di nuova generazione di uno dei clan più forti della Sicilia occidentale, munito
               di diploma di ragioniere e di mestiere impiegato (per conto del clan paterno) al
               Comune di Alcamo, in provincia di Trapani, e che significativamente risultò
               iscritto alla celebre loggia massonica trapanese Iside.

               (16)  Commissione  parlamentare  di  inchiesta  sul  fenomeno  mafioso  in  Sicilia,  VI  Legislatura,  Relazione
                     Conclusiva, cit., pagg. 276-277.
               (17)  Michele PANTALEONE, Mafia e politica, Einaudi, Torino, 1962.
               (18)  Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, V Legislatura, Relazione
                     Conclusiva, Roma, Tipografia del Senato della Repubblica, 1972, pag. 94.

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