Page 19 - Rassegna 2020-3
P. 19
LE MAFIE A ROMA. UNA STORIA A STRATI. DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA
Ma non per questo Roma scomparve dall’orizzonte. Anzi, la sua sagoma
rimase più e più volte incombente sulla scena, anche in momenti drammatici, e
non senza motivo.
Ma è solo in questa prospettiva che ha senso parlare dei rapporti tra Roma
e il fenomeno mafioso? O vi è anche una prospettiva più diretta, più fisica, più
sociale? Che ci racconta vere e proprie forme di insediamento mafioso sul ter-
ritorio romano? Questo articolo affronta l’interrogativo rispondendo afferma-
tivamente, spiegando che quella prospettiva esiste, e molto concretamente, ben-
ché sia stata solo da poco (e non sempre) riconosciuta in sede giudiziaria. E si
propone appunto di tracciare i lineamenti fondamentali della sua evoluzione,
indicandone i quadri e i contesti più generali. Fatti di legislazioni, di strategie
criminali, di logiche politiche e di logiche di affari, di crisi di controllo del ter-
ritorio, di convenzioni culturali, di complicità istituzionali.
In effetti una delle spiegazioni dominanti della nascita e dello sviluppo della
mafia (o delle diverse organizzazioni di stampo mafioso) è quella relativa al vuoto
di Stato. Vuoto nella Sicilia del latifondo, vuoto nella Calabria dell’Aspromonte e
dei piccoli paesi irraggiungibili da Praia a Mare a San Luca, vuoto nei quartieri
napoletani consegnati alla camorra, spesso vestita con i panni della polizia borbo-
nica. Ma, come abbiamo avuto modo di notare in altra occasione , a Roma vi è
(5)
storicamente - almeno sulla carta - un “pieno di Stato”: di strutture politiche e
amministrative, di Forze dell’ordine, di presidi militari e giudiziari. Davvero a
Roma non è possibile usare l’alibi della lontananza dello Stato. E tuttavia nel per-
corso analitico e interpretativo qui adottato, proprio questo “pieno” diventa
curiosamente un fattore di attrazione. Perché Colajanni, nella foga polemica, non
parlava certo a vanvera. Il rapporto di collusione, di reciproco servizio , c’era
(6)
davvero. E la presenza fisica, il contatto diretto, erano, specie in tempi di comu-
nicazioni primitive, il modo più efficace di incontro e di scambio.
Roma, proprio per il suo esprimere un “pieno di Stato”, divenne dunque
meta di un turismo politico, diplomatico e d’affari mafioso o addirittura di pro-
getti di penetrazione mafiosa, che non potevano non generare il bisogno di
strutture di appoggio, di una certa qualità di insediamento e di “personale di
contatto”. Diciamo dunque che essa diventò nei primi decenni del Dopoguerra
città aperta anche per le mafie, meta obbligata delle organizzazioni mafiose più
forti e tradizionali, a partire da quella siciliana, proprio per il fatto di essere il
cuore dello Stato. Poi, progressivamente, a questa funzione residenziale ne
aggiunse altre.
(5) Nando DALLA CHIESA, Ilaria MELI, La mafia a Ostia. Quando tutto appare diverso, in RASSEGNA
DELL’ARMA DEI CARABINIERI, anno LXVI, 2018, n. 3, pagg. 11-36.
(6) Per un paradigma storico-teorico si veda Paolo PEZZINO, Una certa reciprocità di favori: mafia e
modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Angeli, Milano, 1990.
15