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LE MAFIE A ROMA. UNA STORIA A STRATI. DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA



                     Ma non per questo Roma scomparve dall’orizzonte. Anzi, la sua sagoma
               rimase più e più volte incombente sulla scena, anche in momenti drammatici, e
               non senza motivo.
                     Ma è solo in questa prospettiva che ha senso parlare dei rapporti tra Roma
               e il fenomeno mafioso? O vi è anche una prospettiva più diretta, più fisica, più
               sociale? Che ci racconta vere e proprie forme di insediamento mafioso sul ter-
               ritorio romano? Questo articolo affronta l’interrogativo rispondendo afferma-
               tivamente, spiegando che quella prospettiva esiste, e molto concretamente, ben-
               ché sia stata solo da poco (e non sempre) riconosciuta in sede giudiziaria. E si
               propone appunto di tracciare i lineamenti fondamentali della sua evoluzione,
               indicandone i quadri e i contesti più generali. Fatti di legislazioni, di strategie
               criminali, di logiche politiche e di logiche di affari, di crisi di controllo del ter-
               ritorio, di convenzioni culturali, di complicità istituzionali.
                     In effetti una delle spiegazioni dominanti della nascita e dello sviluppo della
               mafia (o delle diverse organizzazioni di stampo mafioso) è quella relativa al vuoto
               di Stato. Vuoto nella Sicilia del latifondo, vuoto nella Calabria dell’Aspromonte e
               dei piccoli paesi irraggiungibili da Praia a Mare a San Luca, vuoto nei quartieri
               napoletani consegnati alla camorra, spesso vestita con i panni della polizia borbo-
               nica. Ma, come abbiamo avuto modo di notare in altra occasione , a Roma vi è
                                                                             (5)
               storicamente - almeno sulla carta - un “pieno di Stato”: di strutture politiche e
               amministrative,  di  Forze  dell’ordine,  di  presidi  militari  e  giudiziari.  Davvero  a
               Roma non è possibile usare l’alibi della lontananza dello Stato. E tuttavia nel per-
               corso  analitico  e  interpretativo  qui  adottato,  proprio  questo  “pieno”  diventa
               curiosamente un fattore di attrazione. Perché Colajanni, nella foga polemica, non
               parlava certo a vanvera. Il rapporto di collusione, di reciproco servizio , c’era
                                                                                    (6)
               davvero. E la presenza fisica, il contatto diretto, erano, specie in tempi di comu-
               nicazioni primitive, il modo più efficace di incontro e di scambio.
                     Roma, proprio per il suo esprimere un “pieno di Stato”, divenne dunque
               meta di un turismo politico, diplomatico e d’affari mafioso o addirittura di pro-
               getti di penetrazione mafiosa, che non potevano non generare il bisogno di
               strutture di appoggio, di una certa qualità di insediamento e di “personale di
               contatto”. Diciamo dunque che essa diventò nei primi decenni del Dopoguerra
               città aperta anche per le mafie, meta obbligata delle organizzazioni mafiose più
               forti e tradizionali, a partire da quella siciliana, proprio per il fatto di essere il
               cuore  dello  Stato.  Poi,  progressivamente,  a  questa  funzione  residenziale  ne
               aggiunse altre.

               (5)   Nando DALLA CHIESA, Ilaria MELI, La mafia a Ostia. Quando tutto appare diverso, in RASSEGNA
                     DELL’ARMA DEI CARABINIERI, anno LXVI, 2018, n. 3, pagg. 11-36.
               (6)   Per un paradigma storico-teorico si veda Paolo PEZZINO, Una certa reciprocità di favori: mafia e
                     modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Angeli, Milano, 1990.

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