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DOTTRINA
Per entrare alla Regione Lazio il giovane Rimi si mosse per tempo. Nel
novembre del 1969, ossia prima ancora dell’entrata in funzione dell’istituzione,
chiese al sindaco di Alcamo di essere “distaccato” dal comune siciliano e inquadra-
to presso la nascente Regione Lazio . Benché fosse priva del parere del Comitato
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regionale di controllo, la giunta regionale siciliana approvò la bizzarra richiesta in
due giorni. Dopo una impressionante serie di irregolarità, ben ricapitolate in un
rapporto dei Carabinieri di Alcamo, che scrissero di “uno spostamento di natura
certamente mafiosa” , l’1 aprile del 1970 Rimi diventò impiegato della Regione
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Lazio, dove, davanti all’inusuale procedura, nessuno si fece domande sull’identità
del “comandato” e sui suoi eventuali precedenti penali. Che c’erano ed erano signi-
ficativi, tanto da farlo comparire nel 1971 in tutti i rapporti giudiziari firmati insie-
me da carabinieri e polizia “della città di Palermo e provincia” come reo di asso-
ciazione per delinquere di stampo mafioso . Non solo. Una volta assunto, egli fu
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subito trasferito, primo in ordine di tempo, agli uffici del Comitato regionale di
controllo (Co.re.co.), incaricato di sorvegliare la legittimità degli atti e delle delibere
assunte da tutte le assemblee elettive laziali. Di fatto si ritrovò in una posizione cru-
ciale per essere sistematicamente informato su tutti i bandi deliberati dai comuni e
dalle province della Regione (appalti, affidamenti, gare) e di conseguenza per orien-
tarne gli esiti anche attraverso le possibili eccezioni e le possibili candidature.
Si trovò così proiettato incredibilmente (e illegalmente) da Alcamo nella
Regione Lazio a presidiare la “legalità” di quest’ultima, nel nome e per conto di
una famiglia di mafia il cui patriarca, il padre Vincenzo, era “mafioso tra i più
grandi, considerato”, secondo Tommaso Buscetta, “il leader morale di tutta
Cosa nostra siciliana degli anni Cinquanta e Sessanta” .
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E di nuovo nessuno si chiese perché ospitare in quella delicatissima posi-
zione di controllo, con precedenza fra tutti, proprio quel giovanotto siciliano
figlio di un boss mafioso allora all’ergastolo. Se si è assunto questo episodio
come paradigma storico, le ragioni sono evidenti. E stanno nel livello di potere
criminale a cui il progetto si era mosso, con la piena disponibilità di appoggi
politici romani, oltre ogni immaginazione. Basta riallineare i dati.
(19) Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, VI Legislatura, Relazione con-
clusiva, cit., pagg. 275-277.
(20) Il testo della nota dell’Arma si trova in Tommaso VERGA, La “Nuova Mafia”. Natale Rimi è
a capo del “Gruppo Roma-Lazio”/3, in Hinterlandweb.it, 25 gennaio 2020, consultato il 10 ago-
sto 2020. La nota non è classificata, ma appare del tutto in linea sia con i rilievi della
Commissione parlamentare antimafia della VI Legislatura (Relazione di Maggioranza, pp.
276-77), sia con i contenuti del celebre Rapporto sui Centoquattordici, Palermo 1971, in
Giuseppe GOVERNALE (a cura di), Il Rapporto sui 114. La lotta alla mafia dal questore Sangiorgi al
colonnello dalla Chiesa, vol. 3, 2020, DIA, tipografia RiStampa, circolazione limitata.
(21) Rapporto sui Centoquattordici, cit.
(22) Pino ARLACCHI, Il processo. Giulio Andreotti sotto accusa a Palermo, Rizzoli, Milano, 1995, pag.73.
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