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DOTTRINA
Fu egli infatti che, forte delle proprie prestigiose amicizie parlamentari, agì
attraverso il suo commercialista di fiducia (ma sprovvisto di laurea, osserva la
Commissione parlamentare antimafia) Italo Jalongo , pregiudicato, per creare
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i giusti contatti con il presidente della Regione Lazio Girolamo Mechelli, avva-
lendosi della mediazione (forse inconsapevole, certo incauta) del magistrato
Severino Santiapichi, consulente giuridico del presidente . La relazione della
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Commissione parlamentare antimafia della VI Legislatura chiama peraltro in
causa, con sconcerto per i suoi rapporti con lo Jalongo, anche un altro magistra-
to, Romolo Pietroni, ossia proprio colui a cui la Commissione antimafia aveva
affidato dal 1964 le sue relazioni istituzionali con la magistratura . E sempre a
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proposito di filo che ritorna, va infine ricordata l’audizione tenuta presso la
Commissione parlamentare antimafia della V legislatura, il 6 ottobre del 1971,
dell’assessore regionale del Lazio agli Enti locali, Antonio Muratore .
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La figura di questo assessore è nella nostra prospettiva analitica esemplare
perché bene integra l’ampiezza della strategia posta in essere da Cosa nostra nel
mobilitare amicizie e rapporti di corregionalità a sostegno dei propri disegni.
Muratore (tuttora vivo) era infatti il veterinario di Canicattì di cui si è parlato prima,
il potere politico per antonomasia a Guidonia (riparo di Liggio, residenza di Rimi),
che sarebbe poi diventato senatore e sottosegretario al Turismo nei governi Goria,
De Mita e Andreotti VI e VII. Prima di allora aveva tra l’altro svolto la funzione
di presidente del consiglio comunale sempre a Guidonia. Dalla imbarazzata audi-
zione e dalle domande dei commissari si evince che proprio l’assessore Muratore
fu responsabile del ruolo assunto dal neo-concittadino Natale Rimi (definito nel
corso della stessa per due volte “impiegato modello”) alla Regione Lazio.
La costituzione di quella che può essere chiamata a questo punto la “sezio-
ne romana” di Cosa nostra fu resa dunque possibile da una molteplicità di “ser-
vizi” provenienti dalle più alte istituzioni dello Stato. E se vale il principio
vichiano che “la natura delle cose sta nel loro cominciamento”, Cosa nostra non
si affacciò davvero alla scena istituzionale della Capitale come un nemico mor-
tale. E sì che si presentò in forze, sia con i personaggi storicamente incaricati di
tenere le relazioni con gli esponenti italo-americani di Cosa nostra sia con i per-
sonaggi appositamente deputati a svolgere un’azione di conquista della Capitale.
(25) Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, VI Legislatura, Relazione conclu-
siva, cit., pag. 275.
(26) Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, VI Legislatura, cit., Relazione di
minoranza del sen. Giorgio Pisanò, pag. 1037.
(27) Ibidem, Relazione conclusiva, pag. 276.
(28) Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, VI Legislatura, Documentazione
allegata alla Relazione conclusiva, Vol. III, Tomo II, Testo delle dichiarazioni del dottor Antonio
Muratore, già Assessore della Regione Lazio, rese al Comitato speciale per l’indagine su Natale Rimi il7
ottobre 1971, Camera dei Deputati, Roma, 1977, pagg. 577-591.
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