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LE MAFIE A ROMA. UNA STORIA A STRATI. DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA



                     1. Natale Rimi faceva notoriamente parte di una dinastia mafiosa. Il padre
               Vincenzo  Rimi  era  infatti  stato  condannato  all’ergastolo  con  l’altro  figlio
               Filippo per i delitti compiuti come capomafia del trapanese, ed era, al momento
               del distacco e dell’assunzione, in carcere.
                     2. L’1 aprile del 1970 Natale Rimi, con le procedure che sappiamo, assunse
               i controlli di legalità sugli enti locali laziali e nel luglio del 1971 venne arrestato
               nell’ambito di una vasta operazione antimafia seguita all’assassinio, in maggio,
               del procuratore capo della Repubblica Pietro Scaglione, e fu successivamente
               indagato per la strage di Ciaculli del 1963 .
                                                        (23)
                     3.Anche da detenuto all’ergastolo Vincenzo Rimi si rivelò in grado di
               smuovere a suo vantaggio non solo la politica regionale ma, prima ancora, una
               impressionante serie di autorità di governo. È agli atti in proposito un appunto
               protocollato del caposegreteria del Sottosegretario di Stato del Ministero della
               Giustizia messaggero di una raccomandazione speciale al “Sig. Direttore gene-
               rale degli Istituti di prevenzione e pena”. Ministro della Giustizia era allora
               Oronzo  Reale.  Spiegava  neutralmente  l’appunto  che  “Vengono  rivolte  vive
               premure affinché i detenuti Vincenzo e Filippo Rimi, rispettivamente padre e
               figlio, non siano separati”, dal momento che erano ristretti entrambi nel carcere
               di Perugia. E così, anch’egli premurosamente, esortava l’alto funzionario: “Si
               prega di volere esaminare con favorevole intendimento la possibilità di acco-
               gliere  la  richiesta”,  sollecitando  anche  a  fornire  “cortesi,  urgenti  notizie  in
               merito”.
                     L’appunto, datato 6 maggio 1969 e firmato Salvatore Tigano, è certo un
               documento prezioso per illuminare il senso pieno di questo passaggio, ossia
               l’arrivo nel Lazio di Rimi jr. Anche perché è solo uno dei tantissimi resi pubblici
               nella propria Relazione di minoranza del 1976 dal deputato Giuseppe Niccolai,
               che chiamano in causa, insieme al ministro, anche i sottosegretari alla Giustizia
               Michele  Pellicani,  Renato  Dell’Andro  ed  Erminio  Pennacchini;  appunti  così
               insistiti da generare la dura protesta della Direzione Generale della Pubblica
               Sicurezza nei confronti del Ministero di Grazia e Giustizia .
                                                                        (24)
                     Senonché, ed ecco il filo che ritorna, a garantire il successo dei disegni
               mafiosi  nella  Regione  Lazio,  fu  un  altro  dei  nomi  fatti  “disordinatamente”
               all’inizio della nostra ricostruzione, Frank Coppola.

               (23)  Sarebbe poi stato mandato al confino in provincia di Pavia con l’accusa di avere realizzato
                     un “tentativo di infiltrazione mafiosa nella Regione Lazio”.
               (24)  Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia, VI Legislatura, cit., Relazione di
                     minoranza dell’on. Giuseppe Niccolai, pagg. 1061-1070. Gli auspici di un esito favorevole
                     della vicenda giudiziaria di Vincenzo e Filippo Rimi andarono comunque a ottimo fine: la
                     Corte di Cassazione deliberò nel 1971 l’annullamento del processo e la sua ripetizione. I due
                     imputati furono scarcerati. Il nuovo giudizio di Appello si concluse con una assoluzione per
                     insufficienza di prove. Nel frattempo Vincenzo Rimi era morto nel 1975 da uomo libero.

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