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EVENTI



                  In esso ci sono già molti nuovi cittadini a titolo pieno, quelli che a partire
             dal 2001 con Marc Prensky sono chiamati digital natives, rispetto a quelli delle
             precedenti generazioni che al massimo possono aspirare ad essere «migranti
             digitali», incapaci - come accade appunto agli immigrati - di perdere l’antico
             accento.  Immersi  in  questo  nuovo  «ambiente»  generale  e  globale,  rimane
             comunque  sempre  più  difficile  e  insensato  adottare  il  rigetto  apocalittico.
             Tuttavia bisogna essere sensibili e criticamente sorvegliati così da non diventare
             «info-obesi», cioè integrati totali acritici.

             b.  Alcuni vizi della comunicazione informatica
                  Non si deve, dunque, piombare nell’isolazionismo impossibile o nella cri-
             tica radicale. Tuttavia emergono certamente alcuni vizi comunicativi che esigo-
             no cautela e giudizi critici, soprattutto tenendo conto del fatto che l’infosfera è
             ormai quasi totalizzante.
                  A livello puramente linguistico emerge subito un fenomeno problematico
             di base: simili ai cittadini della Babele biblica, rischiamo di non comprenderci e
             di essere inabili al dialogo, divenuti vittime di una comunicazione malata, ecces-
             siva quantitativamente e qualitativamente, spesso ferita dalla violenza, approssi-
             mativa e aggrappata a stereotipi, all’eccesso e alla volgarità e persino alla falsifi-
             cazione. Abbiamo bisogno, perciò, di una campagna di ecologia linguistica: il
             «comunicare» autentico, come indica la matrice latina, è un mettere a disposi-
             zione dell’altro (cum) un munus, cioè un «dono», una «missione». È, quindi, una
             condivisione di valori, di confidenze, di contenuti, di emozione.
                  Un’ulteriore riserva da segnalare riguarda un altro fenomeno informatico
             a  prima  vista  positivo,  ossia  la  moltiplicazione  esponenziale  dei  dati  offerti.
             Essa, infatti, può indurre a un relativismo agnostico, a un’anarchia intellettuale
             e morale, a una flessione della capacità del vaglio selettivo critico. Risultano
             sconvolte le gerarchie dei valori, si disperdono le costellazioni delle verità ridot-
             te a un giuoco di opinioni variabili nell’immenso paniere delle informazioni. La
             nuova autorità è l’opinione pubblica prevalente, che ottiene più spazio e ha più
             efficacia all’interno di quella massa enorme di dati offerti dalla comunicazione
             informatica e che, così, crea le «verità». Emblematica della deriva a cui si può
             essere condotti è il trionfo delle fake news, la fandonia che «incistita», insistita e
             proliferata in Internet si rigenera come verità pseudo-oggettiva.
                  Un’altra nota critica punta alla degenerazione sottesa a una componente
             di per sé positiva. Sotto l’apparente «democratizzazione» della comunicazione,
             sotto la deregulation imposta dalla globalizzazione informatica, che sembrerebbe
             essere principio di pluralismo, sotto la stessa molteplicità contenutistica prece-
             dentemente segnalata, si cela in realtà una sottile operazione di omologazione e


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