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CARDINALE GIANFRANCO RAVASI
2. L’erosione delle identità culturali, morali e spirituali e la stessa fragilità
dei nuovi modelli etico-sociali e politici, la mutevolezza e l’accelerazione dei
fenomeni, la loro fluidità quasi aeriforme (codificata ormai nella simbologia
della «liquidità» prospettata dal sociologo Zygmunt Bauman) incidono eviden-
temente anche sull’antropologia. Il tema è ovviamente complesso e ammette
molteplici analisi ed esiti. Indichiamo solo il fenomeno dell’io frammentato,
legato al primato delle emozioni, a ciò che è più immediato e gratificante, all’ac-
cumulo lineare di cose più che all’approfondimento dei significati. La società,
infatti, cerca di soddisfare tutti i bisogni ma spegne i grandi desideri ed elude i
progetti a più largo respiro, creando così uno stato di frustrazione e soprattutto
la sfiducia in un futuro. La vita personale è sazia di consumi eppur vuota, stinta
e talora persino spiritualmente estinta. Fiorisce, così, il narcisismo, ossia l’auto-
referenzialità che ha vari emblemi simbolici come il «selfie», la cuffia auricolare,
o anche il «branco» omologato, la discoteca o l’esteriorità corporea. Ma si ha
anche la deriva antitetica del rigetto radicale espresso attraverso la protesta fine
a se stessa o l’indifferenza generalizzata ma anche con la caduta nelle tossicodi-
pendenze o con gli stessi suicidi in giovane età.
3. Si configura, quindi, un nuovo modello di società. Per tentare un’esem-
plificazione significativa - rimandando per il resto alla sterminata documenta-
zione sociologica elaborata in modo continuo - proponiamo una sintesi attra-
verso una battuta del filosofo francese Paul Ricoeur (1913-2005): «Viviamo in
un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini». Domina,
infatti, il primato dello strumento rispetto al significato, soprattutto se ultimo e
globale. Pensiamo alla prevalenza della tecnica (la cosiddetta «tecnocrazia») sulla
scienza; oppure al dominio della finanza sull’economia; all’aumento di capitale
più che all’investimento produttivo e lavorativo; all’eccesso di specializzazione
e all’assenza di sintesi, in tutti i campi del sapere, compresa la teologia; alla mera
gestione dello Stato rispetto alla vera progettualità politica; alla strumentazione
virtuale della comunicazione che sostituisce l’incontro personale; alla riduzione
dei rapporti alla mera sessualità che emargina e alla fine elide l’eros e l’amore;
all’eccesso religioso devozionale che intisichisce anziché alimentare la fede
autentica e così via.
4. Infine affrontiamo solo con un’evocazione la questione religiosa. La
«secolarità» è un valore tipico del cristianesimo sulla base dell’assioma evange-
lico «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Proprio
per questo ogni teocrazia non è cristiana, come non lo è il fondamentalismo
sacrale, nonostante le ricorrenti tentazioni in tal senso. C’è, però, anche un
«secolarismo» o «secolarizzazione», fenomeno ampiamente studiato che si
oppone nettamente a una coesistenza e convivenza con la religione.
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