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LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI NEI CONFLITTI ARMATI



                     Baldur von Schirach, Gauleiter di Vienna, è stato condannato anche per
               avere telegrafato nell’estate 1942 a Martin Bormann l’ordine di bombardare una
               “English cultural town” per rappresaglia in seguito all’uccisione di Heydrich che,
               secondo lui, “had been planned by the British” .
                                                         (37)
                     Analogamente si sono comportati i giudici israeliani nei confronti di Adolf
               Eichmann, ritenendo “persecuzione” la distruzione di sinagoghe.
                     Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia si è collocato in que-
               sta  scia  quando,  nel  caso  Kupreskic,  ha  configurato  la  persecuzione  come
               discriminazione  e  privazione  di  diritti  fondamentali,  ravvisando  un  intento
               discriminatorio che rende l’atto “inumano” .
                                                        (38)
                     Un significativo passo in avanti è stato compiuto dal Tribunale per l’ex
               Jugoslavia nel caso Kordic/Cerkez. La Camera di prima istanza ha qualificato
               alcune azioni armate contro beni culturali come attacchi che hanno lo scopo di
               distruggere l’identità del gruppo.
                     L’atto, quando perpetrato con intento discriminatorio, “amounts to an attack
               on the very religious identity of  a people”, ed è, quindi, “pure expression of  the notion of
               crimes against humanity, for all humanity is indeed injured by the destruction of  a unique
               religious culture and its concomitant objects”. Di conseguenza, secondo il Tribunale, la
               distruzione e volontario danneggiamento di istituzioni dedicate alla religione
               musulmana o all’istruzione, abbinata al requisito dell’intento discriminatorio,
               “may account to an act of  persecution” .
                                                (39)
                     Con questa sentenza, il Tribunale ha prospettato un passaggio ulteriore,
               piuttosto problematico. Con il riferimento all’intenzione di distruggere l’identi-
               tà del gruppo, infatti, si allarga la prospettiva concettuale e, di conseguenza, giu-
               risprudenziale alla dimensione del crimine di genocidio.
                     Al tempo dei negoziati per la Convenzione del 9 dicembre 1948 sulla pre-
               venzione e repressione del crimine di genocidio si era ampiamente discusso se
               introdurre anche l’ipotesi del “genocidio culturale” accanto a quello biologico
               e fisico. Era prevalsa la tesi negativa, anche se la nozione di gruppo “etnico” era
               intesa come sicuramente comprensiva delle dimensioni culturale e linguistica.
                     Nella sentenza relativa al caso Krstic, la Trial Chamber del Tribunale offre
               un’apertura importante, quando afferma che la distruzione di beni culturali e
               religiosi può costituire elemento di prova del dolo specifico richiesto per il cri-
               mine di genocidio.
                     Questi beni, infatti, sono considerati dal Tribunale come “simboli” del
               gruppo vittima di genocidio.


               (37)  Ivi, pag. 320.
               (38)  Judgement del 14 gennaio 2000, Case No. IT-95-16-T, § 567 e seguenti.
               (39)  Judgement del 26 febbraio 2001, Case No. IT-95-14/2-T, § 207.

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