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LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI NEI CONFLITTI ARMATI



                     Non sono stati, infatti, utili né l’attribuzione di funzioni alla Potenza pro-
               tettrice né la previsione della nomina di un Commissario generale, designato di
               comune accordo dagli Stati in conflitto. In realtà, soprattutto per le funzioni in
               tempo di pace, migliori garanzie di efficacia nei controlli sono offerte da organi
               specializzati precostituiti, quali, in primis, il Direttore generale dell’UNESCO. In
               questa sfera di attività, come si è detto, la Convenzione del 1972 e gli strumenti
               ed organi da essa previsti rappresentano un modello molto interessante. In par-
               ticolare, il Comitato del patrimonio mondiale, organo intergovernativo ad hoc
               stabilito in conformità con l’art. 8 della Convenzione, è stato il riferimento più
               importante.
                     Nell’ambito della apprezzabile istituzionalizzazione della protezione, un
               ruolo importante è svolto dal “Comitato internazionale dello scudo blu”, orga-
               nizzazione non governativa costituita nel 1996 dall’ICOMOS, dall’ICOM, dal
               CIA e dall’IFLA per essere una sorta di CICR, una “croce rossa internazionale
               dei monumenti”.
                     In sintesi, come già sottolineato, la Convenzione del 1954 si applica duran-
               te i conflitti armati internazionali tra due o più parti contraenti, vi sia o non vi
               sia giuridicamente uno stato di guerra tra loro; si applica, altresì, a tutti i casi di
               occupazione bellica, totale o parziale. Le disposizioni sul “rispetto” per i beni
               culturali (art. 4) si applicano anche ai conflitti armati non internazionali che si
               verifichino nel territorio di uno Stato-parte (art. 19, 1). Il secondo protocollo si
               applica  ai  conflitti  armati  internazionali  e  a  quelli  non-internazionali,  senza
               distinzioni, mentre il primo protocollo si applica in pratica solo ai casi di occu-
               pazione bellica.
                     L’Italia non ha iscritto alcun bene nel registro internazionale dei beni a
               protezione speciale. Per quanto riguarda la protezione rafforzata, ha inizialmen-
               te provveduto all’iscrizione di Castel del Monte.
                     Dopo  una  pausa  di  diversi  anni,  nel  2018  ha  aggiunto  la  Biblioteca
               Nazionale di Firenze e la Villa Adriana di Tivoli. Non sono probabilmente i tre
               siti che verrebbero in mente al primo posto, ma si tratta di un passo in avanti,
               seppure molto, troppo piccolo.
                     Per quanto riguarda i rischi che corrono i beni culturali in conseguenza di
               conflitti armati, occorre anche ricordare che essi possono essere rimossi, rubati
               o esportati illecitamente verso Stati terzi. Il saccheggio, anche in questa forma,
               è vietato dal diritto internazionale umanitario.
                     Una potenza occupante ha anche l’obbligo di prevenire le forme di espor-
               tazione illecita, e la convenzione UNESCO del 1970 sull’illecito trasferimento
               di beni culturali e la convenzione UNIDROIT del 1995 rafforzano le norme in
               materia, prevedendo meccanismi per la restituzione.


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