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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
Rispetto alla protezione contro gli effetti delle ostilità (art. 8) le Parti
dovranno, “al massimo delle loro possibilità”, rimuovere i beni mobili dalla vici-
nanza ad obiettivi militari o fornire “adeguata” protezione in situ, ed evitare di
posizionare obiettivi militari in prossimità di beni culturali. È evidente che que-
sto criterio vale per le nuove dislocazioni di potenziali obiettivi militari.
La cattedrale di Colonia era - ahimé - nel corso della Seconda guerra mon-
diale collocata di fronte a due obiettivi militari preesistenti al conflitto: la sta-
zione ferroviaria e il ponte Hohenzollern.
Apprezzabile, in questa prospettiva, l’ordine impartito dalle autorità mili-
tari tedesche il 19 giugno 1944 di spostare le installazioni dal centro storico di
Firenze all’esterno dei grandi viali delle antiche fortificazioni, per risparmiare
al tesoro artistico della magnifica città i prevedibili danni delle operazioni bel-
liche.
Il II Protocollo, infine, integra la Convenzione e i generali obblighi di sal-
vaguardia e di rispetto con una serie di divieti ed obblighi relativi al regime di
occupazione bellica (art. 9). L’occupante dovrà vietare e prevenire:
➢ l’esportazione, la rimozione o il trasferimento illecito di beni;
➢ lo scavo archeologico, tranne quando sia strettamente richiesto per sal-
vaguardare, registrare o conservare beni culturali;
➢ l’alterazione o la modifica di uso di beni che abbia scopo di celare o
distruggere reperti culturali, storici o di valore scientifico.
Su questo punto, i gravi fatti verificatisi in seguito alla conquista di
Baghdad da parte delle forze di occupazione degli Stati Uniti e dei loro alleati
nel 2003 richiedono una accurata riflessione. Sembra che non si sia fatto dav-
vero il possibile per “vietare e prevenire” pesanti danneggiamenti ed estesi sac-
cheggi, privilegiando la difesa di altri e edifici e trascurando quella - doverosa -
di quelli che custodivano beni culturali. Ovviamente, va tenuto conto che i due
più importanti Stati occupanti l’Iraq non erano firmatari della Convenzione
dell’Aja.
Da ultimo, qualsiasi operazione di scavo o alterazione o modificazione
d’uso di beni in territorio occupato dovrà, “salvo che le circostanze non lo per-
mettano”, essere espletata in stretta collaborazione con le Autorità nazionali
competenti del territorio occupato.
Un’ulteriore parte del Protocollo appare apprezzabile. Si tratta della previ-
sione di una dimensione istituzionale, con la creazione di un Comitato per la
protezione dei beni culturali, e di quella di un Fondo. Entrambe le previsioni si
ispirano alla positiva esperienza della Convenzione sulla protezione del patri-
monio culturale e naturale mondiale. Il debole apparato istituzionale previsto
dalla Convenzione del 1954 non si è rivelato praticabile.
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