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LA CONFIGURAZIONE DEL DANNO PATRIMONIALE NELLE IPOTESI
DI TRUFFA MILITARE SULLE INDENNITÀ DI MISSIONE
Al riguardo, era stato osservato in motivazione che «[…] una volta stabili-
to che si tratta di missione superiore alle ventiquattro ore, e che è più vantag-
gioso per l’Amministrazione il regime forfetario, non è in alcun modo possibile
sostenere che detti “rientri” abbiano l’effetto ravvisato dai primi giudici […] in
quanto il rientro nella sede di servizio distante più di novanta minuti di viaggio
dalla sede della missione non potrebbe essere imposto dall’Amministrazione al
militare […]». I giudici avevano, in proposito, rilevato che in base alla normativa
in vigore: «[…] il dipendente inviato in missione deve rientrare giornalmente in
sede qualora la natura del servizio lo consenta e la località della missione non
disti, dalla sede di servizio, più di novanta minuti di viaggio con il mezzo più
veloce.» Secondo la citata sentenza, quindi, «[…] la scelta del militare in missio-
ne di rientrare nella propria residenza, e di far ritorno in sede il mattino dopo,
non può determinare la cessazione del regime forfetario. Quest’ultimo, in veri-
tà, costituisce un omnicomprensivo ristoro per il disagio cui è sottoposto il mili-
tare inviato in missione, che non può essere diversamente parametrato - meno
che mai per ravvisare una truffa - per la stessa ragione per la quale non si
potrebbe contestare all’interessato di essersi fatto ospitare sul posto da un
parente o da un amico, invece di affrontare la spesa di vitto e alloggio, così
sostanzialmente conseguendo un’obiettiva utilità economica. A ben vedere,
infatti, le due situazioni sono sostanzialmente equivalenti dal punto di vista
delle implicazioni economiche, con l’unica differenza che il pernottamento o la
fruizione dei pasti avvengono presso la propria residenza».
In definitiva, le condotte in esame erano apparse ai giudici dell’appello
delle forme di “elusione” delle logiche economiche sottostanti al trattamento
economico forfetario di missione, che potevano essere considerate moralmente
riprovevoli, e anche disciplinarmente rilevanti, ma che non attingevano l’ambito
penale. Ciò detto in ordine al momento iniziale della missione, la Corte Militare
di Appello aveva posto in rilievo che a diverse conclusioni si doveva, invece,
pervenire riguardo alla determinazione del momento conclusivo della missione,
che solitamente non è prevedibile in anticipo e, dunque, è necessariamente affi-
data alla dichiarazione del militare interessato.
Si notava in motivazione, sul punto, che l’orario di cessazione della mis-
sione incide sulla durata della stessa, sicché una dichiarazione del militare
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