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DOTTRINA
recente pronuncia della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 120/2018,
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del D.Lgs. 15
marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che
“I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sinda-
cale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari
possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condi-
zioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni
sindacali” .
(58)
Ed anche il diritto di critica al datore tramite social network, seguito da licen-
ziamento, è stato oggetto di crescenti interventi della dottrina e di varie
(59)
recenti sentenze della Cassazione e di merito tese a valorizzare le peculiarità dei
singoli casi , ma tendenzialmente senza mai considerare la natura “riservata”
(60)
(58) Per una applicazione degli enunciati anche nel lavoro pubblico, v. Tar Lazio, Sez. Prima-qua-
ter, 4 giugno 2013, n. 5566, su legittime esternazioni telematiche di un sindacalista della
amministrazione penitenziaria.
(59) Tra i vari contributi si segnalano M. MISCIONE, I comportamenti privati rilevanti per il lavoro nella
rete senza tempi e spazi, in LAVORO GIUR., 2017, 521; I. SEGHEZZI, I social network e le nuove fron-
tiere dell’illecito disciplinare, ivi, 2018, 556.
(60) Ad esempio, v. Cass., Sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2499, in ARGOMENTI DIR. LAV., 2017, 762,
con nota di M. MATARESE, La critica del lavoratore attraverso i social network: quando il licenziamento
per asserita lesione dell’immagine aziendale cela un intento ritorsivo. Il caso che ha occupato i giudici
di legittimità riguardava un lavoratore, il quale veniva licenziato per aver pubblicato in una
chat di Facebook, accessibile solo a dieci colleghi e nella quale gli stessi si scambiavano infor-
mazioni sull’incontro sindacale per il rinnovo del contratto integrativo, un’immagine satirica
asseritamente lesiva del marchio aziendale. La Corte ha considerato “illegittimo, in quanto
ritorsivo” il licenziamento impugnato in primo grado, confermando in pieno la decisione
della Corte di merito. Per i giudici “si tratta di libero esercizio del diritto di critica, a ogni
modo non integrante una potenziale lesione dell’immagine aziendale per via della diffusione
della vignetta limitata ai partecipanti alla chat”.
La Cassazione, sulla stessa traccia, si è mossa pochi mesi dopo con altra pronuncia confer-
mativa di un annullamento in sede di appello del licenziamento del ricorrente che aveva cri-
ticato l’azienda sulla propria pagina Facebook (Cass., Sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13799, in
NOTIZIARIO GIURISPRUDENZA LAV., 2017, 584).
La sentenza n. 10280/2018, cit., si è invece occupata (confermandone la legittimità, come già
avevano fatto le corti di merito) del licenziamento di una lavoratrice che, sulla propria bache-
ca virtuale di Facebook, aveva espresso frasi di disprezzo nei confronti dell’azienda per cui
lavorava e del suo legale rappresentante (letteralmente: “mi sono rotta i coglioni di questo posto di
merda e per la proprietà”); la fattispecie era stata oggetto di rituale contestazione ex art. 7, Legge
n. 300/1970, con procedimento esitato nel licenziamento per giusta causa. È anzitutto evi-
dente per il giudicante che, pur non essendoci esplicita nomina né dell’azienda per cui ope-
rava la lavoratrice, né dell’amministratore a cui si riferiva, entrambi fossero facilmente iden-
tificabili dai destinatari e che, quindi, si fosse realizzata una sostanziale diffamazione.
Per una ulteriore pronuncia (Cass., Sez. lav., 10 novembre 2017, n. 26682, in LAVORO GIUR.,
2018, 471, con nota di A. LEVI, Il controllo difensivo a distanza e l’inoperatività dell’art. 4 dello
Statuto), costituisce grave negazione dell’elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro
la condotta del dipendente che, in numerose e-mail inviate dall’account aziendale, abbia formu-
lato espressioni scurrili nei confronti del legale rappresentante e di altri collaboratori,
con accuse di inettitudine e scorrettezze.
Viceversa, sono legittime e non giustificano il licenziamento le e-mail contro l’azienda se il
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