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USO CONSAPEVOLE DEI SOCIAL MEDIA



                     u)la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimen-
               to coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la
               violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli
               affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui;
                     v)pubbliche dichiarazioni o interviste che, sotto qualsiasi profilo, riguardino
               i soggetti a qualsivoglia titolo coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero
               trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria;
                     z)il tenere rapporti in relazione all’attività del proprio ufficio con gli orga-
               ni di informazione al di fuori delle modalità previste dal decreto legislativo ema-
               nato in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera d) e 2,
               comma 4, della Legge 25 luglio 2005, n. 150.
                     Giova ribadire che l’oggetto di questo studio concerne le dichiarazioni tra-
               mite social o altri mezzi più tradizionali in contesti extralavorativi e non già le
               comunicazioni “istituzionali” alla stampa, normate da varie fonti. Su quest’ulti-
               mo punto il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 24 settem-
               bre 2008, ha stabilito con formale delibera che, per le comunicazioni istituzio-
               nali, il procuratore della Repubblica, come previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 20 feb-
               braio 2006, n. 106, mantiene stabilmente e personalmente i rapporti con gli
               organi di informazione, ovvero a mezzo di un unico magistrato appositamente
               delegato, evitando sempre nella diffusione delle informazioni di fare riferimen-
               to ai magistrati assegnatari del procedimento.
                     Anche l’art. 6 del codice etico approvato il 13 novembre 2010 (Rapporti
               con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione di massa) fissa direttive sul
               tema delle comunicazioni istituzionali e non, ma il testo, come è noto, non ha
               diretta incidenza disciplinare .
                                           (45)
               (45)  Recita l’art. 6: “Nei contatti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione il magistrato
                     non sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio.
                     Quando non è tenuto al segreto o alla riservatezza su informazioni per ragioni del suo ufficio
                     concernenti l’attività del suo ufficio o conosciute per ragioni di esso e ritiene di dover fornire
                     notizie  sull’attività  giudiziaria,  al  fine  di  garantire  la  corretta  informazione  dei  cittadini  e
                     l’esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l’onore e la reputazione dei cittadini, evita
                     la costituzione o l’utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati.
                     Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a cri-
                     teri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri
                     mezzi di comunicazione di massa, così come in ogni scritto e in ogni dichiarazione destinati
                     alla diffusione.
                     Evita di partecipare a trasmissioni nelle quali sappia che le vicende di procedimenti giudiziari
                     in corso saranno oggetto di rappresentazione in forma scenica”.
                     Come ben rimarca M. FRESA, in La parola dei magistrati tra libertà di espressione, obblighi di segreto e
                     dovere di riserbo, “Mentre le disposizioni previste dai primi due commi sono trascritte anche nel
                     cosiddetto codice disciplinare (il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, così come modificato dalla Legge
                     n. 69 del 2006), le disposizioni previste dal terzo e quarto comma dell’art. 6 del codice etico
                     non sono tradotte in disposizioni normative per i profili disciplinari. Sicché può senz’altro

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