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USO CONSAPEVOLE DEI SOCIAL MEDIA
apposite circolari interne alle varie Pubbliche Amministrazioni, e soprattutto
delle Forze Armate e di Polizia), bensì le sole dichiarazioni private attraverso
canali di diffusione quali community, blog, social network, posta elettronica, e persi-
no Whatsapp e Skype, oltre che attraverso più tradizionali missive cartacee,
volantini o dichiarazioni pubbliche verbali.
Per le Forze Armate e di Polizia, oltre che per i magistrati e per le restanti
carriere non privatizzate, a fronte della non diretta applicabilità del DPR n.
62/2013 (cosiddetto Codice di comportamento, i cui precetti, in base all’art. 2,
comma 2, “costituiscono principi di comportamento per le restanti categorie di
personale di cui all’articolo 3 del citato decreto n. 165 del 2001, in quanto com-
patibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti”), le eventuali inopportune
esternazioni potranno comunque essere disciplinarmente sanzionate in base
alle ampie clausole dei rispettivi ordinamenti disciplinari, ispirati ad una oppor-
tuna “tipizzazione attenuata” delle condotte illecite, non vertendosi in materia
penale (retta da una doverosa maggiore tipizzazione ex art. 25 Cost.) .
(31)
La casistica venuta al pettine di organi disciplinari delle Forze Armate e di
Polizia comincia ad essere rilevante anche nei suoi fatali sviluppi contenziosi
innanzi al Tar-CdS, segno evidente della già rimarcata necessità di una più inci-
siva attività formativa (ben più efficace di silenti circolari, non ben metaboliz-
zate) nelle Scuole di Formazione per ufficiali e sottufficiali. Un encomiabile
esempio in materia è quello della Scuola di Perfezionamento per le Forze di
Polizia, che, su impulso dello scrivente docente titolare, ha da qualche anno
inserito delle ore di formazione dedicate all’uso consapevole degli strumenti
social per i partecipanti al Corso di Alta Formazione.
(31) Sulla tipizzazione cosiddetta debole e sulla opportunità di clausole di ampio respiro nella nor-
mativa disciplinare, che consentono di sussumere nella loro portata applicativa condotte ille-
cite molto varie dei lavoratori, cfr. V. TENORE, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico
impiego, cit., 208 ss. Secondo la nota Corte cost. 8 giugno 1981, n. 100, “non appare pertinen-
te il richiamo all’art. 25, comma 2, Cost. Tale norma infatti, interpretata nel necessario col-
legamento con il primo comma dello stesso articolo, si riferisce, come è generalmente rite-
nuto, solo alla materia penale e non è di conseguenza estensibile a situazioni, come gli illeciti
disciplinari, estranee all’attività del giudice penale, pur se con questa possono presentare, per
determinati aspetti, una qualche affinità”. Soggiunge la Consulta che “questa Corte ha affer-
mato (cfr. sent. 191 del 1970 e le altre ivi citate) esso ‘si attua non soltanto con la rigorosa e
tassativa descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l’uso di espressioni sufficien-
ti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta l’abbia
o meno violato’. È stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che ‘le fattispecie criminose,
cosiddette a forma libera, che richiamano, cioè con locuzioni generiche ma di ovvia compren-
sione concetti di comune esperienza o valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall’in-
terprete’ sono pienamente compatibili con il principio di legalità. Tali criteri interpretativi
enunciati per fattispecie criminose, appaiono maggiormente validi nella materia disciplinare
sia per la minore reazione sociale all’illecito disciplinare rispetto a quello penale e per la
minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell’interessato sia perché è più ampia,
rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilità di comportamenti lesivi dei valori tutelati”.
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