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USO CONSAPEVOLE DEI SOCIAL MEDIA
possono vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l’azione dei magistrati
e offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria” e inoltre gli
strumenti mediatici non devono incidere sulle decisioni, in quanto “la magistra-
tura, tra l’altro, non deve mai farsi suggestionare dalla pressione che può deri-
vare dal clamore mediatico alimentato intorno ai processi, poiché le sue deci-
sioni non devono rispondere alla opinione corrente - né alle correnti di opinio-
ne - ma soltanto alla legge […] nel nostro sistema costituzionale la magistratura
non è composta da giudici o pubblici ministeri elettivi e neppure ovviamente da
giudici o p.m. con l’obiettivo di essere eletti” .
(9)
Ma il problema della libera manifestazione via internet del proprio “pensie-
ro” è assai più ampio e riguarda non solo gli appartenenti alle Forze Armate e
di Polizia o i magistrati, ma tutti i cittadini: a fronte di questa “invasione di
imbecilli” delle più variegate categorie professionali, che esternano liberamente,
prevalentemente in via telematica, ma anche attraverso più “antichi” strumenti
cartacei, radiofonici, o televisivi (o contemporaneamente attraverso versioni sia
cartacee sia telematiche di talune testate giornalistiche o televisive), obiettivo del
presente studio è quello di offrire qualche spunto di riflessione in ordine alla
libertà di pensiero e ai suoi limiti, con particolare attenzione agli argini che
incontra questo basilare diritto, costituzionalmente rilevante, per uomini e
donne che indossano la divisa. Prendo spunti dalla giurisprudenza su di loro
intervenuta e su altre categorie di “esternatori qualificati”, quali sono i giorna-
listi e i magistrati, senza trascurare alcune casistiche che hanno riguardato
dipendenti pubblici civili e privati.
Giova premettere che l’ampliamento del numero degli esternatori attraver-
so lo strumento social acuisce in via generale sia il preesistente e antico rischio,
sul piano giudiziario, di diffamazioni e offese dell’altrui reputazione (di valenza
civile, penale e per taluni anche disciplinare), sia il delicato problema, di valenza
sociale, della disinformazione.
Difatti, accanto all’“informazione” e ai suoi ordinari ed etici divulga-
tori, esiste da sempre uno sgradevole giornalismo diffamatorio e una cre-
scente e pericolosa “disinformazione” telematica che ha molti cultori nel
mondo.
La disinformazione, nelle scienze della comunicazione, è l’attività malevo-
la che mira a fornire e diffondere deliberatamente informazioni false, fuorvianti
o non oggettive, o, aggiungiamo noi, ad omettere informazioni, distorcendo o
alterando la realtà dei fatti allo scopo di ingannare, confondere o modificare le
opinioni di qualcuno verso una persona (per delegittimarla), un argomento, una
(9) L’intervento integrale è rinvenibile in www.quirinale.it.
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