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DOTTRINA
ulteriore (ad esempio su giornali o su internet, come la vicenda che occasiona
queste note dimostra) e non possa essere considerato, secondo un indirizzo giu-
risprudenziale prevalente ma non univoco , alla stregua di corrispondenza
(6)
(5)
(5) Sul tema, l’accurato studio di C. E. GUARNACCIA, La prima giurisprudenza sul rapporto tra pubblico
impiego e social media, in INFORMATICA E DIR., 2017, fasc. 1-2, 367. Anche Cass., 27 aprile 2018, n.
10280 (in GIUR. IT., 2018, 1956, con nota di P. TOSI, E. PUCCETTI, Post denigratorio su Facebook, la
leggerezza che per pubblicità diventa giusta causa) riconosce che l’uso della rete e dei social media abbia
la “potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rap-
porto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato […] ai fini di
una costante socializzazione”, mezzo pertanto idoneo “a determinare la circolazione del com-
mento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica”, inte-
grando pertanto - qualora siano identificabili, anche per relationem, i soggetti destinatari del
commento - ad integrare il reato di diffamazione. La sentenza, quindi, considera per acquisita
la riflessione già posta in essere in maniera sostanzialmente univoca dalla giurisprudenza pena-
le, che ritiene che le offese in rete integrino non solo il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.
(più grave di quello di ingiuria, art. 594 c.p., in quanto attuato “comunicando con più persone”),
ma anche l’aggravante di cui al comma 3 del medesimo articolo (offesa “a mezzo stampa o con
qualsiasi altro mezzo di pubblicità”): in tal senso la rete è in maniera costitutiva un veicolo di
diffusione potenzialmente illimitato per sua stessa natura, in quanto volto ad amplificare la
comunicazione e l’interscambio sociale ben al di là dei possibili soggetti eventualmente ammes-
si nella cerchia di amici e conoscenti autorizzati ad accedere ai contenuti di un determinato
utente. Anche per la Corte d’appello di Torino (sent. 17 maggio 2017, n. 599, confermata da
Cass., Sez. lav., ord. 12 novembre 2018, n. 28878) i social sono da considerarsi luoghi pubblici e
non serve privatizzare il profilo, rendendolo visibile soltanto a una cerchia ristretta di utenti,
per renderne riservati i contenuti. In sostanza, quanto viene pubblicato online, se rilevante per
il giudizio, può essere valutato dal giudice, a meno che non sia stato acquisito in maniera illecita,
ad esempio forzando le password di accesso. Non vi sarebbe pertanto differenza fra profilo pub-
blico e privato, perché anche un profilo privato ben può essere rilanciato e diffuso da ciascuno
dei contatti dell’utente, rendendo potenzialmente illimitato il numero dei destinatari dei mes-
saggi pubblicati. Anche la giurisprudenza di merito ritiene irrilevante la natura aperta o meno
della pagina: Trib. Ascoli Piceno, 19 novembre 2013, in RIV. IT. DIR. LAV., 2015, II, 75, con nota
di F. IAQUINTA, O. INGRAO, Il datore di lavoro e l’inganno di Facebook; App. Torino, 15 maggio 2014,
in GUIDA AL LAV., 2015, fasc. 13, 45; Trib. Milano, 1° agosto 2014, in LAVORO GIUR., 2015, 287,
con nota di P. SALAZAR, Facebook e rapporto di lavoro: quale confine per l’obbligo di fedeltà; Trib. Ivrea,
28 gennaio 2015, ibidem, 837, con nota di P. SALAZAR, Facebook e licenziamento per giusta causa: quan-
do si travalicano i limiti del privato influendo sul rapporto di lavoro; Trib. Bergamo, 24 dicembre 2015,
ivi, 2016, 474, con nota di L. A. COSATTINI, I comportamenti extralavorativi al tempo dei social media:
“postare” foto costa caro; Trib. Avellino, 17 febbraio 2016; Tar Lombardia, Milano, Sez. Terza, 3
marzo 2016, n. 246, ivi, 2017, 381, con nota di M. COTTONE, Social network: limiti alla libertà
d’espressione e riflessi sul rapporto di lavoro (il “like”); Trib. Bergamo, 14 settembre 2016,
in ARGOMENTI DIR. LAV., 2017, 493, con nota di V. CUSUMANO, Rilevanza disciplinare dei compor-
tamenti extralavorativi e diffusione di immagini a mezzo social network; Tar Friuli-Venezia Giulia, Trieste,
Sez. Prima, 12 dicembre 2016, n. 562, in www.quotidianogiuridico.it, 2017; App. Potenza 14
marzo 2017; Trib. Milano, 29 novembre 2017), pronunce tutte relative a post e/o foto pubblicati
su bacheche Facebook personali o di gruppo. Per altri social, cfr. Trib. Busto Arsizio, 20 febbraio
2018, relativa ad un commento postato su Twitter.
(6) Di diversa impostazione rispetto alla prevalente giurisprudenza citata nella precedente nota
è infatti la recente (e allo stato isolata) sentenza Cass., Sez. lav., 10 settembre 2018, n. 21965
(in GIUR. IT., 2019, 139, con nota di P. TOSI, E. PUCCETTI, Chat Facebook: la riservatezza legittima
la denigrazione del datore di lavoro?) secondo la quale una chat su Facebook composta unicamente
da iscritti a una specifica sigla sindacale deve considerarsi alla stregua di un luogo digitale di
dibattito e scambio di opinioni chiuso all’esterno e utilizzabile solo dai membri ammessi; per-
tanto le conversazioni ivi tenute costituiscono esercizio del diritto costituzionalmente protetto
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