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IL DELITTO DI ATTI PERSECUTORI



                     Discorso completamente diverso, come si è visto, vale per gli atti persecu-
               tori, per la cui perfezione bisogna che la sfera psichica della vittima sia stata
               effettivamente alterata. È insomma un reato… “sentimentale”, connotato da
               un “evento sintomatico” (sic !), un reato modellato - ci sembra poter dire - sulla
               figura di una vittima dal carattere (se non necessariamente di sesso) “femmini-
               le”, secondo una stereotipa immagine di donna “d’altri tempi”, una donna che
               non partecipa ai caratteri della modernità.
                     Ma non è tanto questo “strabismo anacronistico” ciò che preoccupa l’in-
               terprete, quanto l’introduzione di una componente di valutazione squisitamente
               soggettiva, tutta in capo alla (potenziale) vittima, che potrà essere più o meno
               “resistente” e reattiva alla condotta persecutoria dell’agente; essa potrà, vale a
               dire,  avere  differenti  soglie  di  sensibilità  emotiva;  di  talché  il  verificarsi  del-
               l’evento dipenderà, in gran parte, dal carattere, dal vissuto, dall’educazione del
               destinatario  della  condotta  stessa,  quando  non  addirittura  dalla  contingente
               situazione (più o meno stressante) che essa sta vivendo in quel determinato
               momento,  magari  anche  per  cause  indipendenti  dalla  condotta  dello  stalker.
               Tutto ciò con evidente compromissione dei principi di tassatività e determina-
               tezza che devono governare la fattispecie penale, con concreto pericolo di enfa-
               tizzazione del disagio specifico e conseguente tentazione di strumentalizzarlo.
                     Sul piano probatorio, poi, le fonti finiscono per identificarsi, da un lato,
               con le dichiarazioni e il comportamento (contestuale e successivo) della vittima,
               dall’altro  (e  ancor  più),  con  la  valutazione  della  condotta  dell’agente  e  della
               astratta idoneità della stessa, nonché con l’apprezzamento della sua concreta (e
               “storica”)  rilevanza.  Ma,  in  tal  modo,  si  finisce  per  concentrare  l’attenzione
               dell’interprete,  appunto,  sulla  condotta,  mentre  l’evento  ne  rappresenta  un
               imbarazzante pendant.
                     E allora perché non pensare a riscrivere la norma, trasformando la fatti-
               specie dell’art. 612-bis c.p. in reato di pura condotta e di pericolo, ancorato a
               precisi e seri dati materiali? Il turbamento psichico della vittima, il cambio di
               abitudini di vita ecc. potrebbero essere presi in considerazione come circostan-
               ze aggravanti.
                     La modifica suggerita renderebbe più certa e celere la repressione di que-
               ste condotte odiose e, allo stesso tempo, arginerebbe abusi e strumentalizzazio-
               ni da parte di pretese persone offese, fenomeno che, a nostro parere e secondo
               una  esperienza  maturata  “sul  campo”,  crediamo,  sia  in  lento,  ma  costante
               aumento.
                     Si eviterebbero in tal modo incertezze interpretative, difformità delle deci-
               sioni e, infine, l’affannosa ricerca di nesso causale tra condotta dell’agente e sue


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