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DOTTRINA



             perdurante stato di ansia o di paura, in un fondato timore per l’incolumità pro-
             pria o di un prossimo congiunto o di persona legata al destinatario dello stalking
             da una relazione affettiva o, ancora, nella “alterazione” dalle abitudini di vita
             della vittima. È ovvio, come si diceva, che possono anche verificarsi più eventi
             tra quelli appena elencati.
                  Ovviamente l’evento deve essere conseguenza della condotta dell’agente,
             ma, stranamente, il legislatore si esprime utilizzando non il gerundio (“cagio-
             nando”),  ma  un  sintagma  (“in  modo  da  cagionare”)  che,  preso  alla  lettera,
             potrebbe stare a significare che l’evento non debba necessariamente verificarsi,
             ma potrebbe verificarsi. E dunque non un reato di evento, ma un reato di peri-
             colo. E tuttavia, come anticipato, non si dubita che si tratti di reato di evento,
             che potrebbe anche consistere in un danno materiale (la distruzione, il deterio-
             ramento di cose) purché esso, a sua volta, cagioni quel turbamento psicoemo-
             tivo che, appunto, costituisce il vero e proprio evento. A ben vedere, d’altra
             parte, anche il cambiamento delle abitudini di vita deve essere conseguenza del
             turbamento  indotto  dall’azione  del  persecutore.  E  dunque  tutto  si  “regge”,
             appunto, sullo squilibrio psicoemotivo della vittima (beninteso, cagionato dal-
             l’aggressore). Come si è visto, però, tra le conseguenze dell’azione dello stalker
             c’è la causazione di un “fondato timore”. Ebbene l’insorgere di un timore è cer-
             tamente un fatto dannoso, ma il timore stesso altro non è che la preoccupata
             previsione di un (concreto) danno, dunque la prefigurazione di una situazione
             di pericolo: è la percezione di un pericolo. Vale a dire: il danno consiste nel per-
             cepire un pericolo! Insomma siamo in presenza di sintomi psichici, determinati
             dalla altrui condotta aggressiva e/o minacciosa. In altre parole: c’è un evento
             che si verifica nella psiche della vittima (e che in ipotesi la determina a mutare
             abitudini di vita) e che, in quanto tale, va accertato.
                  La differenza tra la fattispecie ex art. 612-bis c.p. e quella ex art. 612 del
             medesimo codice, non potrebbe essere più evidente. E questo si dice perché la
             minaccia,  per  la  dottrina  dominante  (Mantovani,  Viaro,  Antolisei,  contra
             Mezzetti) e per la prevalente (e costante) giurisprudenza , è reato di pura con-
                                                                   (5)
             dotta e di pericolo; per la sua sussistenza, non è necessario che la persona offesa
             sia rimasta effettivamente intimidita; basta che, in base a un criterio socialmente
             accettato, la condotta dell’agente sia ritenuta in grado di intimidire il cosiddetto
             “uomo medio”.
                  Insomma, il reato sussiste anche se il turbamento psichico del destinatario
             della minaccia non si verifica.

             (5)  Si va da Cass. Sez. Quarta, sent. n. 8264 del 1985, ric. Giannini, RV 170482 a cass. Sez. Prima,
                  sent. n. 44128 del 2016, ric. Nino, RV 268289.

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