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IL DELITTO DI ATTI PERSECUTORI
per essere giudicato significativo e dunque penalmente rilevante, dovrà avere un
certo tasso di radicalità, una certa durata nel tempo e una sicura connessione
con l’azione aggressiva del soggetto attivo . Ebbene: si tratta non solo, come è
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ovvio, di accertamenti squisitamente di merito, ma anche di valutazioni perico-
losamente inquinabili in base alle personali convinzioni (pregiudiziali) del giu-
dicante. Insomma, per come è strutturata la fattispecie, sembra di essere più in
presenza dei presupposti per l’applicazione di una misura di prevenzione, che
di una vera e propria norma incriminatrice.
I problemi interpretativi assumono ancora maggiore spessore se si va a
valutare la natura dell’elemento psicologico del reato. Dottrina e giurisprudenza
concordemente ritengono si tratti di dolo generico e tuttavia l’agente dovrà
avere la consapevolezza della idoneità destabilizzante della sua condotta. Non
solo: il dolo dovrà abbracciare i singoli segmenti della condotta (molestie,
minacce, violenze, ecc.). Il che non vuol dire che esso si risolva nella premedi-
tazione, ma che certamente dovrà avere, per così dire, carattere unitario e una
intrinseca finalizzazione. È un dolo generico, dunque, piuttosto sui generis.
Ma è l’evento la “componente” che, a nostro parere, crea i maggiori pro-
blemi all’interprete. Esso consiste, come chiarito dalla lettera della legge, in un
(4) Cass. Sez. 5, sent. n. 45453 del 2015, ric. M., RV 265506.
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