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IL DELITTO DI ATTI PERSECUTORI



                     Si tratta dunque di andare a sceverare le condotte “intrecciatesi” in ambito
               familiare, tra coniugi, ex-coniugi, conviventi, ovvero tra fidanzati, amanti, vicini
               di casa, colleghi di lavoro ecc. Ebbene, è esperienza comune quella in base alla
               quale, quasi mai, i rapporti tra gli umani sono netti e lineari: siamo una strana
               specie animale, che vuole competere e, al tempo stesso, collaborare, che vuole
               dominare, ma non rinuncia alla pretesa di essere amata da quegli stessi individui
               che vuole sottomettere. E così i protagonisti delle vicende qualificabili come
               stalking,  non  infrequentemente,  hanno  condotte  contraddittorie,  ondivaghe,
               alternano  liti  e  riconciliazioni,  violenze  e  tenerezze,  minacce  e  promesse,  in
               un’altalena di sentimenti che non può essere adeguatamente ricostruita in fase
               di indagini e rispecchiata nel processo.
                     Come se non bastasse, non può certo essere ignorato il contesto sociocul-
               turale in cui i fatti si svolgono. E così, per focalizzare l’attenzione sui rapporti
               tra i sessi, quella che è percepita come una intollerabile condotta persecutoria
               in un ambiente acculturato, può essere, in altri “circoli”, bonariamente conside-
               rata espressione di un corteggiamento forse un po’ insistente, a volte molesto,
               ma  non  del  tutto  sgradito.  E,  si  badi  bene,  non  si  sta  facendo  riferimento
               all’inaccettabile concetto della vis grata puellis, ma si sta dicendo che, per un certo
               “pubblico”, l’insistenza di un corteggiatore può apparire come sintomo del suo
               forte coinvolgimento emotivo e, in quanto tale, da comprendere e tollerare, se
               non proprio da apprezzare.
                     Ma è allora evidente che tutto (o quasi) deve risolversi nella fase di merito
               del processo, perché solo il tribunale e la corte territoriale possono apprezzare
               il contesto in cui si sono svolti i fatti e possono adeguatamente valutare la psi-
               cologia dei protagonisti. Al giudice di legittimità, se si esclude l’ipotesi della vio-
               lazione di legge, rimane l’imbarazzante compito di valutare la congruità della
               motivazione. Ma, a ben vedere, anche l’apprezzamento della eventuale sussi-
               stenza della violazione di legge, quando si tratta di rapportare la fattispecie con-
               creta a quella astratta, può risultare problematico, in quanto - appunto - la corte
               di cassazione non deve sostituire la sua valutazione a quella del giudice del meri-
               to, il quale ha concretamente - si deve ritenere - conosciuto l’humus culturale in
               cui i protagonisti hanno agito.
                     Invero, quella di cui all’art. 612-bis è una figura criminosa che, per come è
               disegnata (e come la sua origine denunzia), è più compatibile con un sistema
               casistico di tipo anglosassone, che con un sistema dogmatico di tipo continen-
               tale. Anzi: la sua configurazione come reato di evento, oltre ad una evidente fra-
               gilità logica, denunzia, per come è in concreto strutturata, un approccio pater-
               nalistico e un mal dissimulato preconcetto circa l’insufficiente capacità reattiva


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