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DOTTRINA
te con la sopra descritta portata superindividuale del bene protetto e della sua
conseguente natura indisponibile .
(37)
La giurisprudenza ha manifestato la tendenza ad estendere l’ambito di
operatività della norma attraverso un progressivo arretramento della soglia di
punibilità.
Le sentenze più recenti - superando un precedente orientamento giuri-
sprudenziale e contrariamente alla tesi prevalente in dottrina - ammettono per-
tanto la configurabilità del tentativo: è sufficiente l’accertamento della destina-
zione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o
quantità da quelle dichiarate o pattuite ad integrare la fattispecie tentata .
(38)
(37) Cfr. ex plurimis Cassazione penale, sezione II, 4 novembre 2009, n. 49578: “Il reato di frode nell’eser-
cizio del commercio mira a tutelare l’interesse dello Stato nel leale esercizio del commercio,
sicché l’atteggiamento psicologico del compratore non assume rilevanza rispetto alla consegna
di cosa diversa da quella dichiarata e la punibilità del venditore non è esclusa per il fatto che
l’acquirente sia a conoscenza della diversità del prodotto rispetto a quello da lui richiesto”.
(38) Cassazione penale, sezione III, 18 settembre 2014, n. 45916: “Per la configurabilità del tentativo di
frode in commercio non è necessaria la sussistenza di una qualche forma di contrattazione
finalizzata alla vendita, essendo invece sufficiente l’accertamento della destinazione alla ven-
dita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o
pattuite”; Cassazione penale, sezione III, 15 febbraio 2011, n. 22313: “Integra il tentativo di frode
in commercio la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzio-
ne, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore
finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi. (In motivazione la Corte, in una fattispecie
in cui il prodotto alimentare risultava confezionato in uno stabilimento diverso da quello
indicato sulle etichette, ha escluso la sussistenza del rapporto di specialità tra il delitto di cui
all’art. 515 c.p. e la fattispecie, sanzionata amministrativamente, di cui all’art. 2 d.lg. 27 gen-
naio 1992, n. 109)”; Cassazione penale, Sezione III, 23 ottobre 2013, n. 46183: “Integra il tentativo
di frode in commercio la detenzione, nello stabilimento di produzione, di vino anomalo per
tipologia, per zona di provenienza e per annata dichiarata, nonché modificato per l’aggiunta
di acqua e barbabietola da zucchero (la corte ha anche ribadito che la l. n. 460 del 1987, che
sanziona in via amministrativa la violazione delle norme dettate dal regolamento Cee 822/87
per la preparazione dei mosti, dei vini e dei prodotti, non ha determinato l’abrogazione
espressa o tacita delle previgenti norme incriminatrici penali)”. La sussistenza di tale figura
delittuosa in forma tentata è stata in particolare riconosciuta nell’ambito di attività di risto-
razione. Sul punto cfr. Cassazione penale, Sezione III, 5 dicembre 2013, n. 5474: “La detenzione
di alimenti congelati o surgelati all’interno di un ristorante, senza che nella lista delle vivande
sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio, trattandosi
di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per qualità, da
quello dichiarato”; Cassazione penale, Sezione III, 7 dicembre 2016, n. 6586: “Può concretizzare
la fattispecie del reato di frode nell’esercizio del commercio anche il semplice fatto di non
indicare nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, che determinati prodotti
sono congelati, in quanto l’esercizio di ristorazione ha l’obbligo di dichiarare la qualità della
merce offerta ai consumatori: infatti, detta lista, consegnata agli avventori, equivale ad una
proposta contrattuale nei confronti dei clienti e manifesta l’intenzione del ristoratore di offri-
re i prodotti ivi indicati; di tal che la mancata specificazione della qualità del prodotto (natu-
rale o congelato) integra il reato de quo, perché la stessa proposta non veritiera costituisce
un atto diretto in modo non equivoco a commettere il delitto di cui all’art. 515 c.p.”. Quanto
al commercio all’ingrosso, ancorché per definizione non vi sia contatto con l’acquirente fina-
le e pur non essendoci esposizione al pubblico, è stato affermato che “la mera detenzione di
confezioni di alimenti qualitativamente difformi dal pattuito e pronte per essere imballate e
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