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TRIBUNA DI STORIA MILITARE
Quantunque l’assenso del Brigadiere Taroni e dei suoi uomini possa sor-
prenderci, quel ripiegamento fatto in quei termini e in quei modi fu certamente
sofferto ma è ragionevole comprendere che tale decisione fu presa versando in
uno stato di necessità, senza altre sicure informazioni e confidando nella buona
fede del suggerimento di un consiglio che sembrava amichevole ma che era
intriso di slealtà provenendo, al contrario, da una Guardia Nazionale propensa
ad allontanare da Marineo i Carabinieri Reali di Vittorio Emanuele II.
Sulla strada del ritorno ad Ogliastro il 19 settembre il plotone dei dieci
Carabinieri cadde, - in contrada Roccabianca - in una imboscata tesa da nume-
rosi ribelli armati. È legittimo sospettare che questa vile operazione messa in
atto dai rivoltosi fosse stata organizzata dietro precise informazioni circa il tra-
gitto preso da Taroni. Nonostante fossero stati sorpresi, subito i Carabinieri
Nicola Bacileo, Francesco Catgiu, Mauro Di Molfetta, Francesco D’Urso,
Nicola Flocchini, Gaetano Gargiullo, Pietro Panizza, Michele Pastori, Antonio
Prato e Luigi Tettamanti, obbedendo all’ordine di Taroni, si disposero in ordine
sparso ed ingaggiarono un serrato conflitto a fuoco contro i rivoltosi che li ave-
vano circondati con il determinato scopo di annientarli.
Per via dell’inferiorità numerica e senza armi adeguate, quel plotone subì
la perdita dei Carabinieri D’Urso e Gargiulo che, entrambi feriti, rimasero stac-
cati dal gruppo cercando la rispettiva salvezza l’uno verso Vallelunga l’altro
verso Corleone, mentre il Brigadiere Taroni e la parte residua dei Militi, che tra-
sportavano il collega Catgiu ferito a morte, tentarono di salvarsi ripiegando
verso il paesino da cui precedentemente erano usciti per il servizio di pattuglia-
mento.
Quella speranza di salvezza si rivelò tuttavia vana perché una volta che
Taroni e il Carabiniere Panizza erano riusciti a rifugiarsi nella casa di colui che
era stato sei anni prima l’esponente di punta del Comitato rivoluzionario del
1860, reputando di essere finalmente al sicuro per sé stessi e per assistere il loro
compagno d’arme, il tumulto di una folla violenta e minacciosa, invece, reclamò
dal padrone di casa, il notabile e possidente Camillo Romano, la loro consegna.
Risulta accertato che quel presunto patriota che era il padrone di casa si
rifiutò di aiutare il Brigadiere Taroni a difendere i commilitoni Catgiu e Panizza
non volendogli dare il fucile che egli possedeva nella propria abitazione.
Terrorizzato per la propria incolumità e sostenuto anche dal Capitano della
Guardia Nazionale, Del Lungo, dal Sindaco Mosca e dal notaio Vincenzo
Benanti, il Romano persuase i Militari a sloggiare da casa propria per ripararsi
in locali più muniti quali potevano essere quelli della Guardia Nazionale o, al
piano di sopra, quelli degli uffici del Comune.
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