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TRIBUNA DI STORIA MILITARE



                    Dal momento che il paese era nelle mani della massa dei facinorosi, ai
               notabili del luogo non restò che destreggiarsi opportunisticamente fra la condi-
               visione degli obiettivi del moto di ribellione e il contenimento possibile degli
               effetti estremistici della violenza collettiva.
                    Quei maggiorenti del paese, sia detto non senza puntualizzare un certo
               biasimo circa la responsabilità del loro comportamento morale e civile, appar-
               tenevano pur sempre al ceto dei cosiddetti ‘benpensanti’ e, senza ombra di dub-
               bio, non desideravano assolutamente rischiare nulla del loro prestigio e patri-
               monio  personale  in  avventurosi  ribaltamenti  politici  (alquanto  incerti)  senza
               ripararsi dietro un ipocrito ruolo di garanti di una transizione non turbolenta
               dal nuovo ordinamento statale monarchico unitario alla restaurazione dell’ante-
               cedente ordine statale di stampo legittimistico-borbonico o, al contrario, alla
               formazione di quell’ordine politico-sociale di stampo mazziniano-repubblicano
               che già avevano imparato a vagheggiare a contatto dei sentimenti e dei valori
               politici di alcune componenti dei Mille.
                    Sia detto in breve: dietro l’ipocrisia di lavorare per pacificare la massa e per
               salvare la vita dei Carabinieri in pericolo, i maggiorenti di Misilmeri non stavano
               esercitando  altro  che  l’antico,  distorto,  arrogante  potere  egemonico  privato,
               mascherato dalle benevoli intenzioni di moral suasion praticate da sempre su
               larga scala nelle zone rurali siciliane, ma, contemporaneamente, essi rendevano
               anche manifesto il proprio sentimento di infedeltà verso il nuovo Stato Italiano
               e le sue Istituzioni. In buona sostanza, nel vuoto del potere pubblico quei nota-
               bili del luogo, per mezzo del loro potere privato, agivano come arbitri di ultima
               istanza della risoluzione del marasma che era scoppiato.
                    Nonostante la promessa di salvare loro la vita, la folla, che era capeggiata
               dalla Guardia Nazionale e da due religiosi del Convento di San Gaetano, i Frati
               Sucato e Mandalà, aggredì il Maresciallo e i ventinove Carabinieri appena usciti
               dalla Caserma per volerli linciare. Tentando di organizzare una disperata difesa,
               il Maresciallo Grimaldi, per rompere l’accerchiamento, ordinò allora un attacco
               alla baionetta in seguito al quale caddero uccisi alcuni rivoltosi.
                    A questo punto, cedendo al soverchiante numero dei rivoltosi, il nucleo
               dei Carabinieri si smembrò, guadagnando la maggior parte di essi i locali della
               Caserma mentre il Maresciallo Girolamo Grimaldi, con pochissimi altri Militi,
               riuscì rocambolescamente a mettersi in salvo e a raggiungere nella notte del 18
               settembre il Comando della Legione di Palermo per dare l’allarme su quella
               sommossa.
                    La lettura di una delle fonti ufficiali, cioè la relazione inviata al Signor
               Ministro  dell’Interno  dal  Comandante  la  Legione  di  Palermo  in  data  14


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