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LA RIVOLTA SICILIANA DEL ‘SETTE E MEZZO’
la loro delusione per la mancata
redistribuzione delle terre dei grandi
feudatari e per l’azzeramento che fu
fatto degli usi civici. Per quanto
riguarda, poi, la percezione del
clima della rivolta siciliana del 1866
ci soccorre la romanzata opera sto-
rica Sette e mezzo di Giuseppe
Maggiore .
(3)
I diffusi malumori, sfociati in
forme esagitate e delittuose, misero
a dura prova la tenuta d’animo di
quanti avevano a cuore l’unità del
nuovo Stato italiano, ma anche il
coraggio nel contrastarlo di quegli
Uomini che vestivano la divisa
dell’Arma del primo Vittorio
Emanuele e che nel Milite
Scapaccino avevano avuto il loro
primo martire . Gustave Le Gray
(4)
Ma questi malumori, via via Palais Royal Palerme, giugno 1860 (Stampa all’albumina)
sempre più esplosivi, vanno pur
sempre inseriti in un contesto di più generale considerazione il quale, se non li
giustifica, tenta almeno di darne una spiegazione della loro genesi e della loro
organizzazione.
La storia ci dice che l’arco di tempo necessario affinché la Sicilia si inserisse
nella costruzione dello Stato unitario italiano non fu facile e che il Governo
nazionale, nonostante quanto avesse assicurato ai nuovi sudditi Re Vittorio
Emanuele II nel suo primo ingresso a Palermo, non agì in spirito di concordia e
di riparazione dei torti subiti dalla precedente. In conseguenza di ciò, sostengo-
no alcuni storici più avveduti attenti alle specificità sociali, economiche e muni-
cipali siciliane, la costruzione dello Stato unitario nell’Isola presentò caratteri
(3) Cfr. Giovanni VERGA, Libertà, in Id., Tutte le novelle, edizioni Oscar Mondadori, Milano, 1997,
pagg. 319-325; Giuseppe MAGGIORE, Sette e mezzo, Tipografia Gribaudo, Cuneo 1952, pag. 416,
libro ristampato nel 1963 per l’editore S.F. Flaccovio di Palermo.
(4) Mauro De Mauro, nella sua ricostruzione, non si sofferma soltanto sul sacrificio dei Militi
ma ama anche ricordare quello della giovane moglie del Brigadiere Beata Comandante la
Stazione dei Carabinieri della contrada suburbana palermitana dell’Olivuzza, Maria Mazzia,
che “difese col suo sangue il ritratto di Vittorio Emanuele II” (cit., pag. 28).
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