Page 53 - Rassegna 2018-3
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STUDI GIURIDICO-PROFESSIONALI




                  Oggi è indubbio che il mutamento del contesto economico e degli scenari
             competitivi,  mette  in  crisi  il  modello  classico  dell’Organizational  Development
             (orientato al lungo periodo, fondato su una concezione fortemente evolutiva,
             incrementale del cambiamento organizzativo) che, perdendo i suoi caratteri ori-
             ginali, si “ibrida” con esigenze di breve periodo e di radicalità di interventi. In
             realtà, le esigenze di rinnovamento aziendale e di ripristino di livelli adeguati di
             efficienza ed efficacia per mantenere aggiornata la capacità di rendersi coerenti
             con l’ambiente di riferimento vengono affrontate con azioni fortemente orien-
             tate ai processi e all’apprendimento, ponendo l’accento sulla centralità delle per-
             sone (si pensi agli approcci alle risorse umane basati sulla gestione delle com-
             petenze oppure al dibattito intorno alla learning organization), lasciando presagire
             “nuove prospettive” e un ritorno a un approccio di tipo “clinico”.
                  Per gestire un cambiamento così rapido e così intenso è necessario che,
             nella definizione delle strategie e nell’operatività quotidiana, la dimensione tem-
             porale si coniughi con la ricerca di pro attività continua. Occorre acquisire la
             capacità di saper leggere tempestivamente, in un’ottica di breve, di medio e di
             lungo periodo e in uno sforzo necessariamente sistemico, tutte (o molte) le
             variabili che impattano sul funzionamento aziendale.
                  A mio avviso le possibilità che tale processo possa avere successo può
             essere analizzato secondo tre dimensioni:
                  • strategia di cambiamento (incrementale e radicale, laddove la fondamentale
             differenza tra le due risiede nel presupposto di continuità o discontinuità su cui
             si fonda l’intervento);
                  •  modalità di cambiamento, che a mio giudizio si fonda in modo precipuo
             sulle modalità e tempi di comunicazione dello stesso;
                  •  intensità del cambiamento che esprime il livello di shock, disorientamento e
             discontinuità creati all’interno dell’intera organizzazione.
                  Se da un lato l’ottimizzazione della coerenza tra strategie, strutture, perso-
             ne e processi o l’implementazione di ridotte modifiche incrementali (tipiche di
             una strategia di cambiamento vocata all’adattamento) sono relativamente sem-
             plici da gestire, in quanto processi compatibili con l’organizzazione esistente,
             dall’altro i periodi di trasformazione richiedono competenze distintive specifi-
             che (essendo le re-creations ritenute le modalità più rischiose, e le re-orientations
             quelle più sfidanti), capaci di riorientare i comportamenti delle persone.
                  Ma dove nasce l’esigenza di “cambiare”? È indubbio che l’esigenza di cam-
             biamento nasca da un processo “sociale” di definizione e misurazione dei risul-
             tati, che sono funzione delle attese degli stakeholder primari e secondari (ovvero
             il management, la proprietà, le istituzioni finanziarie e sociali, nonché i dipendenti).


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