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L’ORDINE EUROPEO D’INDAGINE NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO PENALE SOSTANZIALE
Basti dire che si scelse, sì, di rinunciare alla doppia incriminazione nelle
ipotesi particolari previste dall’art. 8 della Legge 22 aprile 2005, n. 69, ma si
approntò, al contempo, l’originale soluzione di costruire apposite fattispecie di
raccordo sostanziale tra la legislazione penale italiana e quella del Paese richie-
dente, enucleando gli elementi essenziali che il fatto posto a base del m.a.e.
avrebbe dovuto presentare per dare luogo alla consegna del destinatario da
parte dell’italia. Scelta, questa, che non mancò di acquisire anche maggiore
forza all’indomani della decisione con la quale la Grande Camera della Corte di
Giustizia europea, respingendo i dubbi sollevati dall’avvocatura belga circa la
compatibilità tra la decisione quadro sul m.a.e. e il principio di legalità in materia
penale , ebbe a precisare, ai fini dell’esecuzione del mandato, che la qualifica-
(6)
zione del fatto, per stabilirne l’appartenenza alle categorie che secondo l’art. 2,
par. 2 della decisione quadro medesima non avrebbero richiesto la doppia incri-
minazione, avrebbe dovuto utilizzare quale solo parametro la legislazione dello
Stato emittente, senza alcuna necessità di più stringente raccordo con quella
dello Stato di esecuzione .
(7)
Se, ora, prescindendo dalle letture che le Corti “nazionali” hanno impres-
so al corredo delle garanzie “inalienabili” che l’esecuzione del mandato di arre-
sto europeo dovrebbe rispettare , si raffronta la soluzione adottata per il m.a.e.
(8)
(6) Dubbi fondati, tra le altre, sulla premessa che la legge di recepimento della direttiva
adottata dal Belgio il 19 dicembre 2003 non indicasse «alcun reato con un contenuto nor-
mativo sufficientemente chiaro e preciso, ma soltanto vaghe categorie di condotte inde-
siderabili».
(7) Cfr. la sentenza del 3 maggio 2007, Advocaten voor de Wereld VZW contro Leden van de
Ministerraad, §§ 52 e 53.
(8) È inevitabile, perché riguarda direttamente l’italia, un pur sintetico richiamo alla sentenza
pronunciata dal giudice costituzionale tedesco il 15 dicembre 2015, con la quale è stato rite-
nuto fondato il ricorso proposto da un cittadino statunitense contro la decisione emessa
dall’Oberlandesgericht di Düsseldorf, favorevole alla sua consegna all’italia per l’esecuzione di
una condanna definitiva alla pena di trenta anni di reclusione, per il delitto di associazione
per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
il Bundesverfassungsgericht ha ravvisato una ragione ostativa alla consegna nell’insufficiente sicu-
rezza con la quale l’interessato avrebbe potuto ottenere, dopo l’eventuale consegna, la rinno-
vazione del giudizio celebrato in absentia: proponendo, a sostegno della conclusione, una
visione, direi, estremamente rigorosa del cosiddetto Schuldprinzip, principio innervatore del
diritto penale, concepito nel senso che esso implichi l’accertamento della «vera situazione»
giudicata, così da legittimare una pena adeguata «al fatto ed al suo autore»: il che, ad avviso
della sentenza, sarebbe possibile solo entro un giudizio «in presenza dell’imputato», idoneo
a farne emergere «personalità, motivi, visione del fatto commesso, della vittima e della situa-
zione complessiva», salvaguardando comunque il diritto dell’imputato «di rappresentare per-
sonalmente, nel confronto con il giudice, cause di giustificazione, di scusa o di diminuzione
della pena», nella misura in cui il rimprovero penale presupponga un giudizio etico-sociale
sulla personalità dell’imputato, che tocca quest’ultimo «nella propria aspettativa di considera-
zione e di rispetto, radicata nei valori umani» (cfr., per questi svolgimenti, i §§ da 50 a 58).
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