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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
con quella utilizzata nell’attuazione dell’o.e.i., si ha netta la percezione non solo
di una scelta di minor respiro, ma, come anticipato, di un diverso spirito da
parte del legislatore nell’accostarsi alla materia.
invero, l’art. 10, al comma 1, lett. f), sembra rinvigorire il criterio della
doppia incriminazione, abilitando l’autorità italiana a rifiutare il riconoscimento
e l’esecuzione dell’o.e.i. quando «il fatto per il quale è stato emesso l’ordine di
indagine non è punito dalla legge italiana come reato, indipendentemente dagli
elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica individuati dalla legge dello
Stato di emissione».
al contempo, tuttavia, il predetto art. 10, nel fare salvo il disposto degli
artt. 9, comma 5, e 11, lascia spazio a una serie di ipotesi nelle quali l’esecuzione
dell’o.e.i. non può essere rifiutata: vale a dire, anzitutto, quelle indicate appunto
dal comma 5 dell’art. 9, sopra ricordate; nonché, oltre ad esse, tutte le attività
richieste in riferimento alle «categorie di reati» elencate nell’art. 11, purché puni-
bili, nello stato di emissione, con una pena detentiva non inferiore nel massimo
a tre anni o con una misura di sicurezza detentiva.
Per tali categorie di reati, dunque, si prospetta un’esecuzione non condi-
zionata dal requisito della “doppia incriminazione”: precisandosi, inoltre, che
l’indicazione dell’appartenenza del fatto ad una delle categorie “eccettuate” è
rimessa all’autorità di emissione.
in virtù di tale precisazione, sarà l’autorità di emissione dell’o.e.i. a dover
stabilire, prendendo a parametro le fattispecie criminose previste dalla propria
legge penale nazionale, se il fatto che determina l’attività di indagine rientra o
meno nelle categorie di reati per i quali l’autorità giudiziaria italiana è tenuta
all’esecuzione indipendentemente dalla doppia incriminazione. meccanismo,
dunque, pienamente ispirato al principio del “mutuo riconoscimento”: che, tut-
tavia, immesso nel sistema interno si pone in palmare contraddizione con la
disciplina del m.a.e.
La contraddizione risulta dalla circostanza che la Legge n. 69 del 2005,
anche con riferimento a categorie di reati corrispondenti a quelle menzionate
nell’art. 11 del decreto n. 108 del 2017, ha ritenuto insufficiente, come sopra
abbiamo ricordato, la semplice qualificazione giuridica impressa dall’autorità di
emissione del mandato al fatto sottostante la richiesta, mentre oggi si aderisce
ad una regola opposta.
L’insufficienza dell’individuazione del “titolo” di reato secondo la legge
dell’autorità di emissione era ed è, tuttavia, fondata su ragioni tutt’altro che
peregrine: non potendo certamente darsi per scontato che sotto la qualifica, ad
esempio, di «partecipazione a un’associazione per delinquere» o di «terrorismo»,
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