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IL DISCORSO DEL GENERALE CARLO ALBERTO DALLA CHIESA
Quei giovani in armi, immagine di
una Democrazia libera e consolidata,
insieme ai sottotenenti della Scuola
Ufficiali, erano dunque cittadini che
avrebbero affrontato, di lì a poco, le
insidie di quel terrorismo oramai scon-
fitto e della stessa criminalità organizza-
ta che avrebbe ucciso Dalla Chiesa.
La consapevolezza che le genera-
zioni più giovani potevano rappresentare
l’elemento di riscatto della società italiana
rappresentava una presenza costante
nella filosofia di vita del nostro personag-
gio. Non retorica, ma senso della comu-
nità, partecipazione ad un unico sentire
che fosse in grado di allontanare dai ten-
tacoli del malaffare chi intendeva portare
avanti la costruzione del Paese, abbrac-
ciando i valori che i padri costituenti
erano riusciti a trasferire, tra mille dibat-
titi, nella carta costituzionale. Così la ceri- Chieti, Caserma “Rebeggiani” 18 aprile 1982. Un
momento del discorso del Presidente del Consiglio, ono-
monia in ricorrenza della carica di revole Spadolini. Dietro il politico si nota il Generale
Pastrengo si può saldare allo scoprimen- Dalla Chiesa.
to del busto del capitano Basile. Il paral-
lelo appare quasi scontato: come nel 1848 quegli uomini con la lucerna aveva tenu-
to fede al proprio giuramento pronti a sacrificare la vita per il sovrano e per il loro
Paese, così il capitano Basile era caduto mentre stava combattendo un’altra guerra,
più silenziosa e infida, ma non per questo meno pericolosa, quella contro la mafia.
Quest’ultima, che tentava vanamente di presentarsi come una organizza-
zione dotata di un codice interno, dimostrò che per uccidere un cittadino, un
servitore dello Stato, un Carabiniere, non fosse conveniente affrontarlo aperta-
mente, ma che dovesse essere ucciso all’improvviso, di spalle, mentre con la
figlia di quattro anni e la moglie al fianco stava assistendo ad una manifestazio-
ne pubblica. L’azione criminale chiarì, più di mille parole, qual era il vero volto
di un cancro che minacciava di estendersi portando la metastasi a tutto il Paese
e chiarì anche che solo le generazioni più giovani, come quella del trentenne
capitano Basile, potevano intervenire chirurgicamente, estirpando il male del
secolo e isolando i cittadini onesti da quelli corrotti e collusi.
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