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TRIBUNA DI STORIA MILITARE




                  Un ricordo vivido era quello dedicato dunque a tre dei suoi primi colla-
             boratori  di  un  tempo  oramai  lontano,  caduti  nell’adempimento  del  dovere,
             combattendo  contro  soldati  tedeschi  che  stavano  vessando  la  popolazione.
             Nelle parole di Dalla Chiesa non c’è acredine né apologia, ma la volontà di
             mantenere  viva  la  testimonianza  di  quegli  uomini  che,  in  pace  e  in  guerra,
             hanno mantenuto fede al proprio carisma laico di tutelare i cittadini contro
             angherie e soprusi.
                  Il Generale, poi, volle ringraziare pubblicamente i suoi maestri di vita e di
             servizio. È molto interessante segnalare come non si accenni unicamente ai
             propri superiori ma, anche in questo caso, si tratta di un ringraziamento collet-
             tivo che abbracciava virtualmente anche il padre: “per quanti sempre e poi mi
             hanno insegnato, oltre che donato, oltre che dato […] e nel tempo avanzano i
             miei maestri cui rivolgo un deferente memore pensiero, perché non dovrei dire
             grazie anche a mio padre per avermi dato la fede e gli alamari.
                  Oggi dico quindi a lui e ai tanti maestri ed a tanti a tutti i collaboratori che
             a migliaia e a migliaia in questo momento mi si affollano […] la mia immensa
             gratitudine, il mio grazie più convinto”.
                  Le parole del generale, ancora una volta, non erano parole di circostanza,
             ma provenivano dal profondo dell’anima e la sua riconoscenza accomunava i
             maestri, il padre e i collaboratori che egli vedeva dinanzi a sé in un pantheon di
             uomini semplici, per lo più oscuri, capaci di trasmettere un sapere profondo,
             quello  che  un  poeta  dell’Arma  anni  prima  aveva  definito  “l’anima  del
             Carabiniere” .
                         (32)
                  Questi uomini, e solo questi, rappresentavano, nel giudizio dell’ufficiale,
             “le vestali dell’Arma, e perché non dovrei considerare loro, e soltanto loro”,
             quali veri tutori del fuoco sacro dell’Arma e non, invece, quelli che ritenevano,
             ingiustamente, “di essere ess[i] solo la vestale dell’Arma”.
                  I primi figuravano dunque come un riferimento al quale egli, l’ultimo gior-
             no in divisa, intendeva che il suo uditorio, composto anch’esso di Carabinieri,
             avesse chiaro; si trattava di un messaggio limpido, senza circonlocuzioni, che
             intendeva  bandire  idealmente  chi  non  aderiva  a  tali  principi  o  si  limitava  a
             dichiararsi tutore intransigente di un ideale in forma ostentata o, addirittura,
             senza averne titolo.
                  A  chiarimento,  sottolineava  poco  dopo  “qui  non  sarei  e,  qui  tutti  non
             saremmo, se loro non ci avessero preceduto e non sarebbe onorato, beneaugu-
             rato il dovere compiuto”.

             (32) LUCIANO MERLO,  L’anima  del  carabiniere  italiano  -  sonetti,  odi,  conferenze,  Firenze,
                  Tipografia Passeri, 1914.
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