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IL DISCORSO DEL GENERALE CARLO ALBERTO DALLA CHIESA



               adulti, molti tra loro con tanti anni di esperienza, ma attenti al rispetto delle
               regole e delle formalità.
                    Quegli uomini erano stati capaci, con un raro equilibrio, di far compren-
               dere al giovane ufficiale, figlio di un colonnello dell’Arma, quanto fosse com-
               plesso e difficile il servizio nei Carabinieri. E proprio Dalla Chiesa, dopo qua-
               rant’anni di servizio nella stessa Istituzione, sentì il bisogno di ricordarne ed
               elogiarne le doti: “a questa generosità, a questo garbo, sono sempre riandato nel
               mio procedere, né mi sono mai vergognato di attingere ai consigli e ai suggeri-
               menti dei tali appuntati perché anche da loro la saggezza e l’esperienza poteva
               essere raccolta, soprattutto perché lo facevano senza chiedere nulla”. Dunque,
               ecco un elemento che, all’epoca e per la generazione del generale, non rappre-
               sentava assolutamente un minimo comune denominatore: l’attenzione verso i
               propri collaboratori, intesi quali preziosi e attenti professionisti di un mestiere
               delicato, in grado di poter e sapere consigliare i superiori nei momenti in cui le
               scelte si facevano più difficili. L’esperienza del comandante attento e capace, del
               protagonista di una stagione politica, sociale e criminale molto articolata, lo
               mantenne lucido tanto da ricordare proprio i suoi primi e più antichi collabora-
               tori. Egli stesso li definì “collaboratori”, proprio a segnalarne il ruolo avuto e,
               in particolare, ricordando tre militari dell’Arma in servizio nella provincia di
               Ascoli Piceno che caddero per mano tedesca.
                    Si trattava del Brigadiere Elio Fileni, del Maresciallo Maggiore Luciano
               Nardone e del Carabiniere Isaia Ceci. Il primo, già in servizio come scrivano alla
               tenenza di San Benedetto del Tronto, il 13 giugno 1944 si trovava in compagnia
               di due civili, quando intervenne a tutela di una donna che era stata aggredita da
               due militari tedeschi. Questi ultimi, anziché desistere, assunsero un atteggia-
               mento ancora più aggressivo al punto che Fileni fu costretto a ucciderne uno;
               la zona fu immediatamente posta in stato di allarme e, nonostante il tentativo
               dei tre italiani di sottrarsi, furono catturati e fucilati senza alcuna formalità nello
               stesso luogo di morte del tedesco .
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               (29) - ASUSCGCC, D1472.3, “Stazioni carabinieri dipendenti dalla Compagnia di Ascoli Piceno: loro
                    vicende dopo l’8 settembre 1943 (carteggio del Gen. filippo Caruso)”. Al brigadiere Fileni fu con-
                    cessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare (alla memoria) con la seguente motivazione: “In ter-
                    ritorio non ancora liberato, intervenuto, con due borghesi, per reprimere prepotenze da parte dei
                    soldati tedeschi contro donna inerme, freddava con la propria pistola d’ordinanza uno dei militari
                    nemici che con arma puntata minacciava di morte uno dei borghesi accorsi in aiuto della donna;
                    sopraggiunti  rinforzi  germanici,  veniva  fucilato.  Nobile  esempio  di  dedizione  al  dovere  fino
                    all’estremo sacrificio”, San Benedetto del Tronto (AP), 13 giugno 1944, D. Lgt. 30 aprile 1945.
                    Una descrizione dell’evento compare anche nel portale http://www.straginazifasciste.it/wp-con-
                    tent/uploads/schede/Madonna%20della%20Pieta,%20San%20Benedetto%20del%
                    20Tronto,%2012.06.1944.pdf, consultato il 9 maggio 2018.
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