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LA RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALE PER GLI ILLECITI COMMESSI DAL PERSONALE
IMPEGNATO ALL’ESTERO IN MISSIONI DI PEACEKEEPING ALLA LUCE DELLA PRASSI
Da sempre fondate
sulla volontaria e tempo-
ranea contribuzione degli
Stati membri
dell’Organizzazione, le
missioni hanno subito
nel tempo diverse evolu-
zioni e modificazioni. Per
quanto concerne gli
aspetti di interesse in
questa sede, si è cercato
di porre in evidenza Fonte: www.malinet.net
come la forma e la struttura che le missioni hanno assunto nel tempo ha
finito, talvolta, per conferire al personale impegnato sul campo mezzi for-
mali e informali di ingerenza nei confronti delle popolazioni locali (le quali,
è appena il caso di ricordarlo, pagano il prezzo più alto nelle situazioni di
conflitto).
In particolare, emerge dalla prassi esaminata che, in alcuni casi, iniziali
forme, per così dire, di sudditanza si sono trasformate in vere e proprie con-
dotte abusive da parte dei peacekeeper.
La complessa articolazione della catena di comando politica, strategica e
militare delle missioni ha contribuito a rendere assai difficoltosa, in tali contesti,
una puntuale ricostruzione delle responsabilità per eventuali condotte illecite
degli operatori.
La giurisprudenza internazionale e nazionale ha sovente utilizzato, in pro-
posito, il criterio del controllo effettivo per imputare le condotte illecite allo
Stato di appartenenza dei contingenti.
Si è tentato così di superare gli ostacoli giuridici rappresentati sia dall’indi-
viduazione e imputazione di precisi obblighi sostanziali applicabili
all’Organizzazione delle Nazioni Unite - soprattutto quelli di natura umanitaria
e di tutela dei diritti umani - sia quelli tradizionalmente posti dall’immunità giu-
risdizionale che ad essa deve essere garantita .
(112)
(112) - v. supra, i parr. 5, 6 e 7.
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