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STUDI GIURIDICO-PROFESSIONALI



               del fenomeno mafioso, e in particolare per chi di loro si occupi dei rapporti tra
               mafia e società: quello della rimozione .
                                                     (45)
                    Perché, ecco la domanda, la società reggiana non ha avvertito la qualità dei
               processi che stavano inquinando le sue fondamenta storico-culturali? Perché le
               sue élites non hanno colto la portata dei fatti e della corrosione in atto del tes-
               suto socio-economico del territorio? Perché non l’hanno colta e tanto meno
               denunciata le minoranze più attive e consapevoli sul piano sociale e civile? Va
               qui ricordato che la rimozione, per quanto sia fenomeno costante, assume nello
               spazio e nel tempo forme e motivazioni diverse.
                    Il rigetto della tesi di una presenza mafiosa si accompagna cioè in genere
               all’indicazione di una molteplicità di bersagli polemici: i giornalisti del Nord
               mossi da pregiudizio etnico, i comunisti animati da faziosità politica, i giudici
               mossi da smania di protagonismo, i “professionisti dell’antimafia” spinti dal
               proprio ruolo a vedere mafia dappertutto. Questo modello argomentativo si è
               imposto in tempi successivi, con le opportune varianti, a Palermo e a Catania
               ma poi anche nelle capitali del Nord.
                    In Emilia si è invece affermata una “filosofia” di rimozione speciale: ten-
               dente non a porre polemicamente sotto accusa questa o quell’altra categoria di
               soggetti ostili “per definizione”, ma a rivendicare con orgoglio la contraddizio-
               ne ontologica tra la mafia e la società emiliana. Tendente cioè a collocarsi al di
               qua della polemica. A stabilire semplicemente l’impossibilità di un radicamento
               del fenomeno mafioso in una società che abbia le caratteristiche di fondo di
               quella emiliana. È la teoria degli anticorpi, il cui cuore consiste nella tesi che se vi
               è in Italia una regione che per i suoi abiti mentali e per i suoi costumi civili risul-
               ta radicalmente incompatibile con il modello mafioso, questa è proprio l’Emilia
               Romagna. “Noi abbiamo gli anticorpi” è in fondo la professione, ripetuta nei
               decenni, di un orgoglio culturale e politico volto a sgomberare di ogni legittimi-
               tà logica la discussione sulla presenza mafiosa nella regione. Come se il mito
               emiliano confermasse almeno per una regione l’idea che fu alla base dell’istituto
               (45) - Si veda di nuovo, in tema, Nando DALLA CHIESA, Passaggio a Nord, cit., Cap. VII. Per il caso
                    milanese  vi  è  buona  documentazione  in  Mario  PORTANOVA,  Giampiero  ROSSI,  Franco
                    STEFANONI, Mafia a Milano, Melampo, Milano, 2011. Sul caso tedesco, Nicolò DALPONTE, La
                    rimozione  tedesca.  La  ‘ndrangheta  in  Germania:  analogie  con  il  caso  lombardo,  Facoltà  di  Scienze
                    Politiche, Economiche e Sociali, Università degli studi di Milano, Tesi di laurea, 2013.

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