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lui sconosciute che però un tempo appartenevano anche poco rappresentata al cinema. Ecco perché Coco per
alla sua famiglia. loro ha rappresentato una piccola rivoluzione ed ecco
Ma supponiamo che questa storia non torni, suppo- perché doveva essere un racconto fantastico, sentimen-
niamo che a un certo punto ci si renda conto che se si tale, commovente e fedele al tempo stesso.
vuole affrontare una tradizione così radicata in Messico, Si stenta a crederci, ma dal momento in cui Unkrich
come quella del Día de muertos, l’unica prospettiva pos- ha pensato di lavorare a un film di animazione che rac-
sibile è quella interna. Ed ecco la svolta: abbandonare contasse la tradizione del Día de muertos all’arrivo di
ogni scorciatoia e investire tempo. Tempo per capire,
tempo per studiare, tempo anche per sondare le reazioni,
dal momento che una grossa produzione ha la necessità
di coinvolgere e includere.
Quindi Lee Unkrich, regista di Coco, abbandona l’idea,
a lui più congeniale, di narrare la storia di un ragazzino
americano e imbocca la via più lunga: ambienta il rac-
conto in Messico e tutti i protagonisti sono messicani.
Che grande intuizione, anche se da questo momento
in poi tutto si complica. La storia deve essere coinvol-
gente ma non banale, e per non cadere mai nei luoghi
comuni bisogna andare in Messico, viaggiare, conoscere
le tradizioni e la musica che nel film è forse la protago-
nista principale. E qui c’è un dettaglio fondamentale
che spiega come mai su Coco non si poteva sbagliare:
gli ispanici, negli Stati Uniti, sono assidui frequentatori
delle sale cinematografiche pur essendo una minoranza
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