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di additivo è variabile a seconda dell'applicazione e del tipo di additivo, ma è ge-
neralmente inferiore al 5% (sPi bioplasticscouncil, 2013). sotto l'azione di mi-
crorganismi, aria o luce, il polimero contenente tali additivi possiederà la proprietà
di frammentarsi. si tratta infatti di un processo di frammentazione piuttosto che
un processo di biodegradazione.
Questi additivi sono basati su catalizzatori chimici contenenti metalli quali cobalto,
manganese, ferro, o materiali organici che possono consentire ai polimeri la fram-
mentazione attraverso una ossidazione chimica del tipo: irradiazione ultravioletta,
esposizione al calore o solo la biodegradazione dell’additivo di origine organica
(sPi bioplastics council, 2013; European bioplastics, 2009).
L'industria dei biopolimeri considera come fuorviante l'uso di termini come de-
gradabili, oxo-degradabili, oxo-biodegradabili, oxoverde e degradabile in discarica
industriale (LEt), che non faccia riferimento a specifiche, certificazioni o norme
stabilite per riprodurre e verificare tali affermazioni. nessuna pubblicazione o
rapporto tecnico è stato ancora pubblicato per dimostrare che questi polimeri
oxo-degradabili degradano abbastanza per essere proclamati biodegradabili (sPi
bioplastics council, 2013; narayan 2009).
Questa terminologia suggerisce che i prodotti possono rapidamente degradare e
biodegradarsi in diverse condizioni; purtroppo, l'effetto principale dell’ossidazione
è la frammentazione (la prima fase di degradazione) in piccole particelle, che ri-
mangono nell'ambiente per un tempo indefinito (sPi bioplastics council, 2013;
European bioplastics, 2009). il termine “oxofragmentation” sarebbe più appro-
priato per questo tipo di polimeri (Europeanbioplastics, 200). Le plastiche idro-
fobiche risultato di questa frammentazione potrebbero inoltre migrare in acqua
o in altri ecosistemi (song et al 2009; narayan 2009). Questi frammenti riman-
gono nell'ambiente. Le plastiche oxo-biodegradabili non sono una soluzione al
problema dei rifiuti, ma piuttosto una conversione di contaminanti visibili (rifiuti
plastici) in contaminanti invisibili (frammenti di plastica), che potrebbe anche in-
coraggiare comportamenti di abbandono selvaggio (littering) in ambiente (European
Bioplastics, 2009b).
1.2.2 - i biopolimeri (bioplastiche)
i biopolimeri, come definiti in questo capitolo, sono polimeri provenienti esclu-
sivamente da organismi viventi o polimeri sintetizzati da fonti rinnovabili. ibio-
prodotti designano prodotti non alimentari derivati da biomasse (piante, culture
algali, alberi, organismi marini e rifiuti biologici prodotti dall’alimentazione do-
mestica, da produzione alimentare e produzione animale) (Bewa, 2009). nel 2010,
la produzione mondiale di biopolimeri è di circa un milione di tonnellate all'anno,
cioè meno dello 0,4% del mercato dei polimeri; questo mercato sta vivendo una
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dell’Arma dei Carabinieri