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La globalizzazione e la sfida del territorio


               sa essere la migliore organizzazione sociale per affrontare la competi-
         FOCUS zione globale e quali debbano essere le riforme, anche istituzionali, che
               occorre urgentemente realizzare per rendere competitivo il nostro
               Sistema-Paese.

               3. Quali riforme per competere?
                  È evidente che, nel nostro Paese, si stanno spegnendo quelle “istitu-
               zioni di mediazione” fra il terreno politico (tra le “organizzazioni della
               mediazione” possiamo includere i sindacati, le forme associative, ma
               anche la partecipazione della società civile alla vita delle istituzioni loca-
               li) e la società civile, che fino a tempi recenti avevano portato a cataliz-
               zare in risposte concrete le forme di dissenso e di malcontento.
                  L’interdipendenza fra geografia, mercati plurimi, cultura locale ed
               economia globalmente concepita non può essere trascesa: la sede dei
               conflitti scivola dalle istituzioni intermedie al territorio, trasformatosi
               in un codice di appartenenza.
                  Il nostro Paese rischia di essere marginalizzato nella nuova divisione
               internazionale del lavoro, che globalizzazione e “turbocapitalismo”
               stanno provocando con una velocità superiore a quanto comunemente
               si pensi. L’etica della responsabilità non è subentrata a quella onirica e
               ipocrita dei buoni sentimenti e delle prediche virtuose. Gli Stati moderni
               non devono far più fronte alla rivolta dei poveri, come capitava in passa-
               to, ma a quella dei ricchi. Internazionali sono i ceti più ricchi, che non
               hanno alcuna difficoltà a emigrare e abbandonare la nave che affonda.
                  E purtroppo la politica non si è adeguata alla nuova realtà. Per questo
               è entrata in crisi. Rischia di essere sostituita dalla “mano invisibile” del
               mercato, che, beninteso, tende a fare i propri interessi, senza farsi porre
               vincoli dalla politica. Il capitalismo tende a essere monopolistico. È la
               politica che deve porre regole per la libera concorrenza. Se però la poli-
               tica è scriteriata e non tiene conto delle regole dell’economia, rischia di
               essere travolta, di delegittimarsi, di gettare nella povertà interi popoli. Lo
               Stato - il luogo di conciliazione tra libertà e solidarietà, che non è solo
               tra ricchi e poveri, ma anche tra ricchi e giovani - non è morto.
                  La territorialità, la globalizzazione e la regionalizzazione sono mo-
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               dellate dai flussi globali che penetrano all’interno stesso degli Stati.
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